Ci vediamo a Bergamo, presto!

Silvio Maffioletti, ottico e optometrista, docente presso l’Irsoo di Vinci e l’Università degli Studi di Torino, scrive dalla sua città. Il suo è un messaggio di dolore ma anche di speranza, necessaria per affrontare questa terribile situazione a testa alta, come i bergamaschi stanno facendo, unendosi in un fronte comune e riscoprendo i valori fondanti della vita ordinaria. Ma anche di quella professionale

È stata un’evoluzione rapida. Con i colleghi del territorio bergamasco avevamo intrapreso già a inizio marzo varie azioni condivise, con l’obiettivo di soddisfare le urgenze minimizzando le uscite, invitando gli utenti a non recarsi presso i centri ottici per limitare le possibilità di contagio. Ma era solo l’inizio dello tsunami in arrivo, che in breve ci ha attratto nel vortice di situazioni inattese e incontrollabili. Dopo tre settimane, la nostra città era allo stremo. “Non avrei mai immaginato di vedere a Bergamo sfilare gli autocarri dell'Esercito con le bare. Sono giorni terribili, porgo la nostra commossa vicinanza ai familiari delle vittime del Covid-19”. Con queste parole si è espresso Giuseppe Conte il pomeriggio di mercoledì 25 marzo, in Parlamento.

Bergamo non si ferma ma sta piangendo, colpita duramente. È la città con il più alto numero di vittime, oltre duemila. Gli esperti pensano che i bergamaschi contagiati siano almeno dieci volte tanto quelli delle cifre ufficiali. Da oltre un mese, piangiamo i nostri morti al suono ininterrotto delle sirene delle ambulanze e delle campane delle chiese. L’immagine degli autocarri militari carichi di bare, che percorrono le nostre strade per andare ai forni crematori di altre città, è una pugnalata. È un’immagine che procura grande, profondo dolore. Dentro quelle bare, dietro i numeri delle vittime ci sono persone con un nome, un cognome, una storia. Ci sono famiglie che perdono gli affetti più cari, alle quali è stata negata la vicinanza al loro capezzale, l’ultima carezza, il funerale, la benedizione al camposanto.

La pandemia in atto è una livella, ci ha riportato tutti sullo stesso piano: nei letti di terapia intensiva o nelle bare senza funerali ci sono ricchi e poveri, ci sono persone semplici e personaggi importanti. Nella sofferenza, giorno dopo giorno, Bergamo ha però superato lo shock dei primi giorni e ha reagito, esprimendo la solidità e la resilienza di un tessuto sociale logorato ma ancora forte, determinato, che non si arrende. “Bergamo, mola mia!”. È così venuto il tempo dell’impegno e della responsabilità. Solo successivamente, dopo l’emergenza, verrà il tempo di una ricostruzione razionale, per capire come ha potuto realizzarsi un dramma collettivo di queste proporzioni nel territorio bergamasco. “Bergamo, mola mia!”. In queste settimane è emersa, in città e nei paesi, una forza interiore solida e profonda sulla quale, quando tutto sarà finito, ricostruire le famiglie, far ripartire il lavoro, sollevare un’economia messa al tappeto. Una forza che circola attraverso i rapporti personali, irrobustendosi e diffondendosi. Una forza che dovrà essere capace anche di cicatrizzare le ferite emotive, rielaborare lutti che sono stati solo deglutiti, fare alzare lo sguardo verso l’orizzonte, per ripartire.

Bergamo è cambiata, giorno dopo giorno. Con polmoni che hanno ripreso a gonfiarsi di vita, nutrirsi di prossimità, prepararsi alla rinascita dopo la spietata potatura di queste settimane. È tornata la capacità di dire “grazie”, invece che vomitare giudizi con il dito puntato, perché nulla è dovuto ma tutto è donato. È tornata la fiducia nelle competenze degli altri, perché non vogliamo più dare credito ai personaggi autoreferenziali e ai tuttologi. È tornata la consapevolezza che è insensato inseguire ciecamente il superfluo e affannarsi per raggiungerlo quando poi, in un attimo, si sgretola l’indispensabile.

“Bergamo, mola mia!”. Così, orgogliosi di essere italiani ed esprimendo il tratto tipico del carattere della nostra popolazione, che raramente è simile a una fiamma appariscente ma, sotto la cenere, conserva viva una brace sempre accesa, viviamo e condividiamo questa dolorosa esperienza. Attraverso gli straordinari sforzi dei tanti medici e infermieri che ogni giorno, nelle strutture sanitarie, sono nei reparti Covid-19 a fianco dei malati. Attraverso il fiume di volontari che, guidati dall’Associazione nazionale alpini, hanno lavorato per far sorgere dal nulla, in pochi giorni, il grande ospedale da campo che sta accogliendo centinaia di malati, alleggerendo la forte pressione alla quale per un mese è stato sottoposto l’Ospedale Papa Giovanni XXIII (nella foto, la gigantografia dell'opera di Franco Rivolli, posta sulla torre 4 e divenuta simbolo dell'emergenza coronavirus). Attraverso il contributo che le persone e le associazioni hanno messo in campo e che, nella maggior parte dei casi, resterà anonimo.

Più passano i giorni, più le parole vanno piano piano esaurendosi. Restano quelle essenziali, si rimane concentrati su ciò che occorre fare per uscire da questa difficile fase. Ora ne siamo certi, ne usciremo e, dopo questa prova, sapremo essere più sobri, più consapevoli, più solidali. Ne usciremo, tornando a svolgere la nostra professione con impegno, passione e competenza. Tornando a incontrarci, ad aggiornarci, a crescere come ottici e optometristi e come persone, insieme. Noi, già ora, avanziamo la candidatura della nostra città per uno dei prossimi incontri congressuali della professione ottico optometrica, nel 2021: un evento che abbia sede proprio all’Ospedale Papa Giovanni XXIII, nel moderno centro congressi, per ritrovarci, per ricordare, per ripartire.

Sì, ci piacerebbe ospitarvi nella nostra splendida città. Per parlare di ottica, di optometria, di lenti a contatto, di occhiali, di deontologia professionale. Per ripartire insieme guardando oltre, perché ci siamo guardati dentro.
Ci vediamo a Bergamo, presto! 
(red.)

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