Rosario Brancato, se ne va un gigante dell’oftalmologia

È deceduto nei giorni scorsi a 85 anni il noto professionista (nella foto), alla guida per oltre vent’anni della Clinica Oculistica dell'Università Vita-Salute Ospedale San Raffaele di Milano. È stato, inoltre, componente della Commissione Nazionale per la Prevenzione della Cecità, presso i ministeri del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, editor-in-chief dell'European Journal of Ophthalmology e medaglia d'oro Soi "Maestri dell'oftalmologia italiana". Qui pubblichiamo il ricordo che ne ha fatto per i soci della Soi Francesco Bandello, attuale direttore di Oculistica al San Raffaele

«Sono due le frasi che ho sentito ripetere di più in queste ore da tanti colleghi: “finisce un’epoca” e “se ne è andato un gigante”. Credo che entrambe sintetizzino bene il sentire di molti: il prof. Brancato è stato un gigante che ha segnato 50 anni di storia della nostra specialità e io so di essere stato baciato dalla sorte per essere stato uno dei suoi. Era il novembre del 1980 ed entravo nella Direzione della Clinica Oculistica di Trieste per incontrarlo per la prima volta. Dovevo decidere dove applicare per l’ingresso nella Scuola di Specializzazione. Le opzioni potenzialmente erano diverse, ma dopo pochi minuti che l’ebbi conosciuto, me ne ero già invaghito. Era di una vitalità incontenibile, entusiasmo allo stato puro. Perché questa era la prima prerogativa del Prof.: la capacità di entusiasmarsi sempre e poi saper trasmettere il suo entusiasmo a chi gli era vicino. Se stavi accanto a lui sentivi il dovere di girare al massimo. Uscii da quell’incontro che ero in trance e chiamai subito mio padre per comunicargli che i dubbi e le incertezze non avevano ragione di essere: la prima opzione per me era Trieste. Due anni dopo, al termine di una sfuriata all’indirizzo dello strutturato che io seguivo, con tono stizzito mi chiese di seguirlo in Direzione. Ero terrorizzato. Quando fui dentro ed ebbe chiuso accuratamente la porta, si aprì in un gran sorriso e guardandomi dritto negli occhi, con quello sguardo che “bruciava”, mi disse una delle frasi più gratificanti della mia vita: “vuoi venire con me a Milano? Prima di rispondere parlane a casa”. Lo convinsi, un po’ a fatica, che la decisione era già presa in tempo reale e dopo qualche mese (insieme a Menchini, Carnevalini, Pece e Scialdone) eravamo al San Raffaele a iniziare un’avventura che dovrebbe essere un capitolo da studiare nei manuali di organizzazione aziendale. Il genio di Don Luigi sposò la capacità di organizzare del Prof. e in pochi anni, da un ambulatorio al piano -1 del Settore A furono capaci di allestire una portaerei dell’oculistica, perfettamente organizzata in sotto-unità, ciascuna col proprio responsabile e con volumi che crescevano di pari passo con la sua notorietà e la sua esposizione internazionale.

Oltre al contagioso entusiasmo e alla capacità organizzativa, c’è un’altra prerogativa che contraddistingueva il Prof. Brancato: la sensibilità per il nuovo. Nuove strumentazioni e nuove tecniche lo affascinavano e la storia dei suoi interessi professionali lo testimonia: fu tra i primi con la fluorangiografia, con i laser, con le lenti intraoculari, con la chirurgia rifrattiva, con l’OCT. Questa sua passione per il nuovo gli causava spesso frizioni con i colleghi più paludati, che erano scandalizzati da questi balzi in avanti, ma ciò anziché distoglierlo dal proseguire, lo motivava sempre più. Accompagnarlo nei padiglioni dell’American Academy era una folle corsa alla costante ricerca delle novità, che sarebbero poi dovute arrivare in Clinica, da noi prima che in qualsiasi altro reparto d’Italia. La sua ambizione era avere la miglior clinica possibile e la sua spinta era tale che fece crescere in breve tempo tanti giovanissimi, indirizzandoli verso specifiche competenze e facendone in breve tempo riferimenti indiscussi per pazienti e colleghi. Sono decine e decine gli oculisti formatisi in quegli anni e che, grazie a questa “visione” organizzativa, che precorreva i tempi, crebbero e divennero gli esperti dei vari settori. Il modello, oggi riprodotto in tante realtà, negli anni 80 impose un’autentica rivoluzione degli schemi e la rinuncia a quei percorsi codificati che erano basati sulla figura “del braccio destro”. Il braccio destro era l’aiuto di riferimento, quello in cui era riposta totale fiducia. Da noi lo fu Menchini per tanti anni, ma col tempo diventammo tanti “bracci destri”, e da quel momento in poi la Clinica cambiò.

Capì tra i primi l’importanza di pubblicare bene e, sebbene di una generazione che non aveva familiarità con Impact Factor e Citation Index, intuì che le pubblicazioni “a peso” non avevano più ragione di essere e ci spronò a pubblicare sulle riviste importanti e a lavorare seriamente. In quegli anni fondò l’European Journal of Ophthalmology, che seppe portare all’indicizzazione nelle più importanti banche dati, primo e unico esempio italiano nella letteratura oftalmologica. La partecipazione del San Raffaele al Congresso ARVO era occasione per esibire le spalle larghe di una struttura che lavorava in tutti i settori dell’oftalmologia. La competizione la si faceva con i grandi dipartimenti statunitensi che, qualche anno dopo, riuscimmo a superare per numero di contributi. Capì prima di altri l’importanza di avere una presenza congressuale all’estero. E aver conquistato stima e rispetto fuori dai nostri confini si tradusse presto in maggiore credibilità in Italia. Diventò membro di Club Jules Gonin, Macula Society, Retina Society, International Academy of Ophthalmology e da queste prestigiose organizzazioni scientifiche ottenne i più alti riconoscimenti. Il suo inglese non diventò mai fluente, ma quando era lui a presentare, in aula si faceva sempre un rispettoso silenzio. Fu l’organizzatore di importanti eventi scientifici internazionali, che ebbero sede in Italia proprio grazie alla sua notorietà e alla sua credibilità e, bisogna ricordare, anche grazie alla sapienza organizzativa della signora Laura, che molto contribuì ai suoi successi.

È tra quelli che hanno dato di più all’oculistica Italiana con dedizione e passione. Il sodalizio con il Prof. Coscas e il Prof. Lumbroso lo vide impegnato in decine di attività didattiche che hanno contribuito alla formazione professionale di tanti. Le ricadute del suo lavoro furono ovviamente importanti per tutti noi che lavoravamo nel suo cono d’ombra, ma tutta l’oculistica italiana ha guadagnato posizioni nel mondo grazie al suo impegno. Lo ricordo reduce da un congresso in Estremo Oriente, passare per qualche ora in Clinica a cambiare i carousel delle diapositive per volare negli Usa per un altro congresso. Aveva un’autentica cultura del lavoro, che era per lui ragione di vita. L’impegno e il lavoro furono due ingredienti imprescindibili del suo successo e di impegno e lavoro aveva una considerazione altissima. Tutti noi (da Menchini in giù) arrivammo grazie agli stessi due ingredienti. E di questo modo di pensare e selezionare i collaboratori gli fummo grati, perché altrimenti non avremmo avuto altre carte da giocare al tavolo della competizione. Ma il Prof. se eri “dei suoi” non ti tradiva!

In questi anni, molte volte, davanti alle scelte più disparate, mi sono ritrovato a chiedermi cosa avrebbe fatto il Prof. A vederlo al lavoro sembrava muoversi d’istinto e di certo furbizia e intuito non gli facevano difetto. A prima vista era impulsivo, ma nella realtà tornava sulle sue scelte in modo razionale e ponderato, fino a quella finale, che era sempre la più giusta. Figlio del Sud, in lui convivevano anche toscanità, triestinità e milanesità. Qualche anno fa, in una serata in cui superò più del solito i confini della sua innata riservatezza, mi confessò che era grato a Milano, città in cui ha finito di certo col sentirsi a casa.

Se n’è davvero andato un gigante, che ha segnato in modo indelebile 50 anni di oftalmologia. Mancherà a molti di certo. I maestri hanno però un grande vantaggio: sopravvivono negli allievi e si riproducono dando origine alla scuola. Siamo in tanti a fare quotidianamente gli stessi suoi gesti, a ripetere anche inconsapevolmente il suo modo di fare la professione (come diceva lui). Sono certo che, se potesse, sorriderebbe ironico e direbbe una delle sue massime: “non ti fidare Francesco, il cavallo di razza si vede alla distanza”. Spetta ora a noi della sua scuola dimostrare che ha scelto bene i suoi allievi e la sua scuola continuerà da lui ispirata».

(red.)

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