Dall’ultimo sondaggio lanciato da b2eyes, tuttora in corso, sembra emergere che le aspettative del retail ottico italiano per aprile e maggio sono in prevalenza stabili. Quasi si volesse attendere la fine della battaglia e tempi migliori: quelli del “liberi tutti”
Probabilmente alla maggior parte degli operatori del nostro settore il mondo appare immobilizzato, custodito in un grande freezer come i vaccini che dovranno portarci nel breve alla normalità. Qualcosa però non torna. L’atteggiamento attendista o negativista dell’ottica è risaputo. Oggi tuttavia abbiamo a che fare con una pandemia che ha spazzato il sistema e non ne ha ancora avviato uno nuovo. L’attendismo può essere la classica arma di difesa di chi, stando in mezzo, non offende nessuno, ma come succede nel calcio è difficile aggiudicarsi un campionato puntando solo al pareggio di tutte le partite: oggi serve una mentalità vincente anche alle squadre che lottano per non retrocedere. Ma qualcuno deve retrocedere per permettere agli altri di sostituirlo. Perché, dunque, occorre uscire dalla trincea, prendersi qualche rischio e provare a ridisegnare i destini della guerra? Perché altri lo stanno già facendo. Soprattutto nel mondo della salute, di cui l’ottica per indole e necessità aspira a far parte.
Prendiamo il comparto dell’assicurazione salute. Secondo la società di consulenza mondiale Kpmg, “proprio la trasformazione digitale rappresenterà uno dei principali driver di crescita per le compagnie assicurative. Tra gli ambiti di possibile sviluppo, uno dei principali è rappresentato dalla Digital Health Insurance, l’offerta di polizze salute legate all’utilizzo di tecnologie digitali in grado di registrare e trasmettere dati precisi sullo stato di salute dei clienti”. Avremo a breve tanti consumatori che entreranno nei centri ottici con tali polizze in tasca, con la filosofia che è importante il rapporto fisico ma altrettanto il servizio a distanza. Cosa emergerà principalmente da questo rinnovato rapporto tra il pubblico e la sua salute? Che il digitale dovrà crescere. Secondo Milano Finanza, “una delle più grandi applicazioni dell'intelligenza artificiale nell'assistenza sanitaria sarà legata alle videoconferenze, in quanto le visite virtuali, il triage infermieristico e il monitoraggio dei pazienti diventeranno la norma”. Nell’articolo si parla già di sistemi sofisticati in grado di rendere la comunicazione tra esperto e utente priva di disturbi sonori che possano intralciare l’anamnesi e quindi gli errori di prescrizione. Il grande sogno di essere curati bene, a distanza e con facilità sta per concretizzarsi. Peraltro il nostro utente comincia a pensare che rimanere a casa usufruendo di alcuni vantaggi, tra cui quello di curarsi, sia la più grande conquista post pandemica.
L’ottica in trincea come può rendersi conto di queste trasformazioni in atto? Allo stesso tempo questo futuro quante vittime lascerà sul campo della salute? Conseguenza della situazione che stiamo vivendo ormai da oltre un anno, è tornato in voga il termine techno stress, coniato nel 1984 da Craig Brod per indicare lo stress indotto dall’utilizzo di nuove tecnologie. Nel 2007 in Italia è stato riconosciuto una malattia professionale e rientra nell’obbligo di valutazione dei rischi. Di certo oggi, alla luce delle nuove modalità lavorative, tale disturbo provoca costi ingenti per le imprese e la sanità pubblica e ha a che fare anche con i nostri occhi. Cosa può spingerci, quindi, a uscire dalla trincea? Una grande opportunità. Trovare tra le macerie economiche della pandemia e i danni che questa ha provocato un nuovo ruolo sociale e una missione etica che faccia fare il salto di qualità all’ottica. Avremo persone che stanno peggio e non sanno bene a chi rivolgersi e come. Avremo possibilità di fare teleconferenze da esperti, non da spettatori. Potremo dare allo stress una risposta concreta ed esauriente. Offriremo una soluzione integrata e non più univoca. Cosa dite, ne vale la pena?