Il panettone di Safilo all’occhialeria italiana

Di solito, in famiglia, si spostano le grandi decisioni dopo le feste per non intristire il Natale. Il gruppo padovano è l’eccezione che conferma la regola: nei giorni scorsi ha presentato il conto dei suoi ultimi anni di gestione, 700 esuberi nel 2020 in Italia. Troppi

La dichiarazione di sconfitta di Safilo, nel paese dell’occhiale, ci porta a credere che tutti dobbiamo tornare a lavorare sull’asset del made in Italy. Le mani sapienti, che Brunello Cucinelli dichiara di usare per giustificare l’alto costo dei suoi bellissimi capi d’abbigliamento, in Safilo sembra che non esistano più, non si indentifica più nell’eccellenza del saper pensare e fare tipicamente italiano. Al Louvre di Parigi consacrano la genialità di Leonardo e delle sue colline vinciane, che possiedono una scuola di ottica, mentre un fondo internazionale e un management deprezzano queste abilità immolandole all’altare della riduzione, contenimento, ottimizzazione dei costi. Tutta colpa della globalizzazione? Della manodopera a basso costo di alcuni paesi? Citando il Corriere Economia del 9 dicembre scorso, “non è un caso se i grandi gruppi del lusso sono entrati direttamente nel mondo della produzione. Perché l’occhiale è un perfetto esempio di quello che ora chiameremmo inclusione, di un punto di vista estetico che non richiede taglie proponendo prezzi più che accessibili anche per i grandi marchi dai costi intimidenti”.
Sebbene la taglia unica dell’occhiale sia un’esagerazione contemporanea, poiché ogni viso ha il proprio naso e una volta si parlava anche di calibri, l’occhialeria vista dagli altri è un mondo fatato dove nascono sempre opportunità, per tutti. La cura di Safilo, a dispetto del made in Italy e delle mani sapienti, dichiara nei titoli di testa del suo business plan 2020-24 che "il gruppo punta a una crescita delle vendite e dei margini attraverso un modello di business moderno, incentrato sul cliente e orientato al consumatore finale, implementato grazie a una nuova strategia di trasformazione digitale". Nel piano non vi è cenno all’italianità, ai valori dell’azienda. Come se chi avesse pensato di comprare una secolare trattoria a Trastevere avesse deciso di convertirla ad hamburgeria perché a Roma ci sono tanti turisti americani. Non sono d’accordo con l’amministratore delegato Angelo Trocchia sul suo concetto pragmatico espresso nel piano industriale che "oggi, in Safilo, stiamo affrontando i diversi temi con pragmatismo, aggiornando il nostro modello di business con scelte nuove, chiare e necessarie". Il pragmatismo fu una corrente filosofica sorta negli Stati Uniti nella seconda metà del secolo XIX e fondata sulla connessione fra conoscenza e azione. Lavora sul presente e non sul futuro.
Non solo Safilo, ma indirettamente tutto il mondo dell’occhialeria italiana è chiamato a una riflessione congiunta, che potrebbe tradursi nella ricollocazione dei lavoratori di Longarone e Martignacco. Inoltre oggi è il momento di recuperare il valore, se non il coraggio, di avere proprio dei valori. I pubblici nel mondo non sono più quelli del Crm e della customer experience. Le persone oggi per domani chiederanno dei sogni da condividere, delle esperienze di vita e non di acquisto, che siano sostenibili e moralmente edificanti. Non è solo facendo quadrare i conti che si garantisce un futuro a un’azienda di valori.
Nicola Di Lernia

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