Quello di via delle Forze Armate è stato il primo indirizzo milanese di Leonardo Del Vecchio prima di entrare in orfanotrofio, quello dei Martinitt, dove trovano asilo anche il grande editore Angelo Rizzoli e il fondatore delle biciclette Edoardo Bianchi. La zona è Baggio, estrema periferia a ovest di Milano, un posto dove “quando piove, piove un botto”, come recita il rapper Ghali. Leggere la sua biografia mi sembrava un dovere per chi come me ha percorso gli ultimi trent’anni a osservare l’ascesa di Luxottica. Eppure la lettura è diventata un piacere, sia per la scrittura dell’autore sia per l’impostazione del libro in cui lui ci ha sicuramente messo lo zampino. Non si parla solo del Cavaliere, bensì anche dell’ottica e dell’occhialeria. La sua storia è parte di un racconto più ampio che lega l’Italia da oltre 500 anni a una montatura e due lenti.
Una delle cose che dobbiamo al Cavaliere è che ha sdoganato il nostro mondo dal concetto di piccolo ma bello a quello di bello, grande, anzi grandissimo, futuristico. L’uomo più ricco d’Italia il 13 maggio 1942 veniva dichiarato dal podestà di Milano “di famiglia povera”. Alla sua morte oltre cinquemila persone lo vegliano nell’ultimo viaggio.
Trovo affascinante nel libro (nella foto, la copertina) il parallelismo tra l’occhiale della Regina, ovvero l’occhiale che Angelo Frescura regala a Margherita di Savoia in vacanza nel Cadore, e l’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca indossando un paio evidente di occhiali Ray-Ban. Una sorta di passaggio di testimone che attesta l’importanza dell’Italia.
Possiamo dire che la rivalità tra Cadore e Agordo non ci sarebbe stata se non ci fosse stato Leonardo Del Vecchio e la sua Luxottica. La partita non si sarebbe nemmeno svolta. Nel Cadore era nata grazie ai Frescura, ai Lozza e ai Tabacchi l’industria ottica moderna. Nell’Agordino allora c’erano solo tristezza ed emigrazione. Cosa ha portato Del Vecchio a donare tanto amore per questa terra? “Io sono stato un uomo fortunato - diceva Angelo Rizzoli - La mia fortuna la debbo innanzitutto al fatto di essere nato povero e questo mi ha dato una certa comprensione dei fatti della vita”. Probabilmente anche il Cavaliere la pensava così.
Sbirciando dal finestrino del Frecciarossa diretto a Milano mi sembra di scorgere sulle vie dell’autostrada la Fiat 1100 grigia con cui Del Vecchio partiva da Agordo alle 4 del mattino per consegnare in tempo utile a Milano i suoi occhiali. Quanti di noi oggi lo farebbero? Quanti conservano lo spirito suo, dei Rizzoli, dei Bianchi? I ragazzi degli anni 60 però iniziano a non esserci più, quelli che al bravo giornalista di questa biografia - Tommaso Ebhardt - dichiarano “sembrava di lavorare per noi, per una cosa nostra, non per l’azienda di qualcun altro”. Macché management della gentilezza o leadership condivisa. Qui ci sono uomini, donne, valori seri come il pane che si metteva a tavola. Per una volta tanto allora, anche se non siamo stati in passato tutti d’accordo con lui, togliamoci il cappello. Parrà impossibile, ma ci mancherà.
Nicola Di Lernia