Se non crescono le progressive, possiamo chiudere

Il mondo dell’ottica ha avviato la ripartenza di settembre celebrando grandi eventi dedicati alle montature. Ma bisogna essere consci che, almeno per il mercato italiano, devi vendere belle lenti per poter acquistare begli occhiali

Il business di un negozio di ottica nel nostro paese si basa per il 70% sulla vendita di lenti oftalmiche. Il rimanente 30% va suddiviso tra montature vista, sole e lenti a contatto, liquidi e accessori. Se dovessimo prendere spunto da ciò, tutti da domani mattina dovremmo allestire vetrine quasi esclusivamente con lenti da vista abbinate ai loro trattamenti e colorazioni. Eppure, così non è. Tutt’altro. In un negozio il cliente fatica a trovare informazioni sulle lenti. Il paradosso sopravvive con la motivazione che la gente entra per farsi un occhiale, sceglie per prima cosa la montatura e infine decide quale lente montarci: nella maggior parte dei negozi è la logica illogica dell’occhiale che “disegna” la lente. Ed è questo uno dei motivi per cui siamo ultimi in Europa nella penetrazione delle lenti progressive in uno dei paesi più vecchi del mondo insieme al Giappone. Secondo i dati GfK del sell out 2017 siamo ancora sotto il 19% di penetrazione. Però cresce il segmento delle progressive sotto i 150 euro del 7%, mentre quello medio (150-250 euro) decresce del 7% e quello over 250 euro del 3%. Infatti, i dati assoluti vedono nel 2017 le lenti progressive perdere “solo” lo 0,6% a volume ma “ben” l’1% a valore. E anche nella prima parte del 2018 non si è avvertita un’inversione di tendenza.
In un paese dove una persona su due ha più di 45 anni e dove la presbiopia sta anticipando i suoi tempi di emersione a causa dello stile di vita e di lavoro possiamo accontentarci di questi dati soprattutto in un mercato stagnante? Se un segmento poi decresce meno a volume che a valore il segnale che emerge è tanto preoccupante quanto quello generale. Si sta smettendo di fare up selling - di geometria, trattamento o materiale - e si propone un prodotto standard, con la forte possibilità che il cliente in età da progressiva (in Italia la prima dotazione si fa mediamente a 53 anni con una addizione 2) tenga l’occhiale pochi giorni e poi lo riponga nel cassetto, insultandoci a ogni cena di classe. Il prezzo basso di queste lenti, a oltre dieci anni dalla loro comparsa, ha funzionato come un cortisone: dà benefici momentanei, aiuta a far quadrare più o meno i conti, ma non risolve il problema alla radice. Siamo gli ultimi in Europa nonostante siamo vecchi, le aziende investano milioni su tale segmento e il target primo progressivo sia quello economicamente più interessante.
Se non possiamo superare l’annosa questione dell’oculista che consiglia il doppio occhiale o addirittura il premontato a un presbite incipiente (rischiando di indurlo per anni a una autocorrezione errata), cerchiamo di risolvere qualcosa almeno nel nostro ambito. Torniamo tutti a scuola a imparare i fondamentali dell’ottica. Valorizziamo il 70% del nostro business e non nascondiamolo dietro belli o brutti occhiali. Rendiamoci infine conto che un occhiale con lenti è di fatto un presidio medico e chi lo propone e lo vende deve aver chiara la responsabilità di quello che indosserà la persona che ha servito, per almeno tre anni. Siamo uomini o caporali? Direbbe il grande Totò.
Nicola Di Lernia

 

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