Da lunedì scorso Milano è la capitale mondiale del design. Se nella moda si fanno i nomi anche di altre città, in questo settore il faro rimane il capoluogo lombardo. Per tale motivo, da pochi anni, si è riparato a una grave mancanza: un museo dedicato. L’Adi Design Museum lo potete trovare nelle vicinanze del Cimitero Monumentale. In perfetta simbiosi espositiva con l’archivio storico del Compasso d’Oro, dal 1954 il riconoscimento più ambìto in questo mondo. Scorrere gli oggetti che lo hanno vinto dal Dopoguerra a oggi è un po’ come ripercorre la propria vita. Mi soffermo sulla teca che espone il mio anno di nascita, il 1962. In quell’anno lo ricevette il primo televisore portatile a transistor prodotto in Europa, Doney 14 della storica Brionvega: il primo iMac di vent’anni fa, compatto e colorato, ne sembra il nipote.
Alla fine della visita all’esposizione permanente mi sorgono due domande: cos’è il design e che cosa rappresenta? Alla prima risponde la mia caffettiera e la sua descrizione, ripresa dall’archivio del Compasso d’Oro: “La 9090 si distingue, oltre che per la sua forma originale, anche per la funzionalità della chiusura a leva, del beccuccio anti-goccia e della base, allargata per sfruttare al meglio il calore della fiamma”. Il design non è quindi solo bellezza, ma anche funzionalità, ingegno, godimento. Inoltre - e questa è la risposta alla seconda domanda - è un viaggio, nella nostra vita di ieri e di oggi, ma soprattutto di domani.
All’Adi Museum non mi sembra di aver riconosciuto un occhiale, una montatura da vista o da sole. L’ho poi cercato nell’archivio digitale dei vincitori del Compasso d’Oro, ma anche lì nessuna traccia, a eccezione, se vogliamo, della maschera sportiva Detector di Briko, premiata nel 1991. Eppure, nell’occhialeria degli ultimi vent’anni, si parla molto di design, spesso in alternativa al tema della griffe: all’inizio lo si definiva di nicchia, in riferimento a una produzione limitata ed estemporanea. Oggi ha invaso il settore, a volte non rispettando alcuni canoni della mia caffettiera, come la funzionalità e l’eternità. Di eterno nell’ottica ci sono le forme e, nonostante i colori, il pubblico indossa ancora principalmente il nero. Di memoria ce n’è invece poca. Mi sarei aspettato nelle bacheche dell’Adi Museum almeno una segnalazione dell’occhiale in titanio di Lindberg che pesava come una bustina di the, dei primi Alain Mikli o delle mascherine anni 70 di Germano Gambini. Non ci siamo ancora. Abbiamo sdoganato il design nel b2b, ma la critica e il pubblico non se ne sono ancora completamente accorti, nonostante alcuni tentativi del recente passato. La settimana milanese del 2024 potrebbe essere il momento ideale per fare rete nel mondo dell’eyewear e per creare uno spazio-evento di celebrazione collettiva del design dell’occhiale. Che se lo meriterebbe.
Nicola di Lernia