La globalizzazione è morta, viva la globalizzazione

L’intervento del Future Concept Lab del sociologo Francesco Morace all’Otticlub di Mido 2018 (nella foto) offre spunti per una nuova reinterpretazione del fenomeno in una logica del “genius loci”: nessun luogo è senza un genio

Anche McDonald’s ha ceduto da tempo alla globalizzazione. La carne degli hamburger italiani arriva da 15.000 allevatori locali, orgogliosamente presentati nel sito della società che racconta le loro storie e passioni. Da qui parte il nostro racconto e, da buon popolo di santi, poeti e navigatori, il nuovo modo di affrontare la globalizzazione per i “no global” è, secondo Morace, la Rosa dei Venti. Quella più semplice a quattro punte, che rappresentano i quattro punti cardinali. Per smitizzare la globalizzazione dei consumi si utilizza questo espediente per raccontare la storia di quattro popoli differenti per clima e origine e che si differenziano proprio per le stagioni e la matrice: il nostro sud, il nord Europa, l’ovest americano e l’est asiatico. A dispetto della globalizzazione questi punti cardinali del consumo si differenziano per il clima che vivono, l’unicità dei luoghi, i diversi valori di provenienza e appunto per il loro “genius loci’”.
Al Nord vivono i valori della sicurezza (il clima è ostile) abbinati al concetto basic e alla trasparenza dei rapporti senza però trascurare la compatibilità tra economia e natura. Nel nostro sud, dove il clima è temperato e vive la biodiversità, tutto ruota intorno all’emozione che fa da cardine alla fantasia e alla sensorialità (un corpo meno coperto va più raccontato) unitamente alla valenza etnica e alla memoria vista come collante della famiglia. Se ci spostiamo al Far East ingaggiamo la spiritualità, che annaffia tutta la vita quotidiana su cui poggiano l’armonia e l’intuizione (tipica del rapporto con la natura) unitamente al minimalismo e alla ritualità. Come è per il sud il rapporto con la memoria, anche all’est la ritualità è vista in positivo, quindi come ricerca costante della perfezione. Oltre gli oceani, nell’allora Far West, tutto ruota ancora nel concept della ricerca dei “nuovi mondi’”. Invece delle armi e dei cavalli i nostri usano la tecnologia e la performance per conquistare gli spazi virtuali ancora liberi, imbracciando la bandiera del networking. Nulla si conquista senza la cavalleria (il gruppo), le strategie aziendali e di vita comune sono guidate dalla flessibilità e dalla lucidità. Qui il futuro è un salto a tre gradini, non una ricerca dell’eccellenza attraverso gesti ripetuti e migliorati costantemente: la tecnologia è la leva affinché tutto si elevi e in fretta a livello worldwide. E i quattro punti cardinali potrebbero rispecchiare anche le anime del nostro paese.
Le analisi di Future Concept Lab toccano quaranta città di venticinque paesi. È indubbio che la metafora della Rosa dei Venti sia oltre che suggestiva anche realistica. D’altro canto anch’io ho “annusato” un vento simile in questi ultimi due anni: costante ma diverso. Se volete un esempio concreto della ritualità del Far East cercate su Instagram “Bon Pon”, moglie e marito giapponesi, che fanno dell’integrazione e della sintesi il loro must di vita. Se cercate i valori del sud andate a Barcellona dove in pochi anni sono passati da una società stanca a una di vitalità contagiosa, dove i giovanissimi sono portatori di innovazione senza escludere però il proprio nucleo familiare secondo i valori della memoria sopra annunciati. E la povera Italia? Sembra rappresentata da Roma ma non citata nell’esposizione di Morace. Un unico segnale. Nella Rosa dei Venti tracciata dal nostro bravo sociologo il vento di Roma veniva descritto come “brave decadence”. Forse è per quello che non ce l’ha voluta spiegare e non ha dato spazio alle domande.
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