Visioni veneziane

A Venezia, su Canal Grande, a pochi passi dalla stazione ferroviaria, Palazzo Flangini ospita fino al 30 luglio “The Lens of Time-The History of Eyewear in Italy”, mostra che celebra oltre sette secoli di storia dell’occhiale, promossa da Anfao con l’intento di valorizzare l’eccellenza del made in Italy, ma soprattutto di riappropriarci delle radici di ciò che facciamo e siamo

La mostra, curata da Daniela Zambelli e Alessandra Cusinato, propone dodici tappe tematiche tra arte, tecnologia, artigianato e design. Il percorso espositivo, strutturato in tre sezioni fondamentali, percorre le origini medievali, la rivoluzione industriale, le grandi icone del Novecento e le forme contemporanee dell’occhiale. Oltre 150 pezzi, tra montature veneziane del Settecento, in tartaruga, degli anni 60 legate al cinema, prototipi e materiali d’archivio, provengono dal Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore e da collezioni private, tra cui quelle di Roberto Vascellari e di Lucio Stramare. Un aspetto distintivo: la forte presenza interattiva e tecnologica, con postazioni digitali, tour virtuali e il totem “Timeless Frames” che permette di indossare virtualmente modelli storici e condividere l’esperienza.

Dalla storia della mostra alla sua essenza. Si auspicava da anni questo approdo dell’occhiale del Cadore a Venezia. Come le foreste del Cansiglio e del Cadore erano le “foreste da remo” per i veneziani del 1300 e i loro robusti alberi arrivavano alla Serenissima grazie ai fiumi navigabili, così in Laguna sono giunte le montature migliori, pezzi custoditi nel museo di Pieve e l’“intelligenza” di chi li sa fare.

Venezia è un teatro difficile, la competizione artistica è pari a quella economica di una città come Milano. Tuttavia questa sfida la si doveva accettare prima o poi anche perché, se il Cadore è il distretto dell’occhiale, Venezia è il suo palcoscenico naturale. A Venezia ci si veste colorati perché le persone, non usando l’auto, si incrociano e si osservano dalla testa ai piedi. A Venezia così si punta su un abbigliamento leggermente stravagante, vedi gli occhiali di Peggy Guggenheim, perché la città ti invita a farlo per la sua bellezza. Il consiglio è andare a visitare questa mostra, aperta ancora tutto luglio: arrivarci dai terminal dell’auto e del treno risulta veramente facile. La permanenza può durare poco come tantissimo perché è ricca di dettagli e di stimoli.

E poi, c’è Venezia. A pochi passi il Ghetto, il primo ghetto ebraico al mondo con i suoi negozi unici e i panifici che sfornano biscotti introvabili. Poi c’è la Strada Nuova, così ricca di osterie vere che ci puoi lasciare il cuore e il portafoglio. Infine, trascinandoti quel tanto, arrivi ai piedi del Ponte di Rialto dove è nata la prima banca al mondo - anche se i fiorentini diranno il contrario - e la partita doppia di oggi. E in questo tragitto tra passato e presente, lo stesso cui ci ha idealmente condotto lo storico dell’arte Jacopo Veneziani all’inaugurazione della mostra, mi ha colpito che, come emerge proprio dai dipinti esposti a Palazzo Flangini, nel Medioevo gli occhiali venivano indossati quasi esclusivamente da ecclesiastici e usurai. Per leggere e trascrivere i manuali o per contare le monete e segnare i debiti o cancellarli. Ora invece l’occhiale è di tutti e per tutti. Una conquista sociale cui l’industria e il retail non devono mai sottrarsi. Soprattutto oggi.

Nicola Di Lernia

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