L’ottica ha bisogno di… birra

“A tutta birra” è un modo di dire che nasce dall’abitudine dei carrettieri di dare ai cavalli questa bevanda per aumentarne le prestazioni. Pratica che avviene anche oggi per quelli da corsa, aggiungendo al cibo il lievito. Che sia il caso di usarla anche nel nostro settore?

Lo spot di Renzo Arbore della metà degli anni 80 a favore del consumo e dell’immagine della birra ce lo ricordiamo ancora: invitato a pranzo da una ricca gentildonna (nella foto) si rivolgeva alle telecamere dicendo “la birra va bene con tutto e tutto va bene con la birra”. Questo spot aveva l’obiettivo, centrato, di sdoganare la birra da un contesto di nicchia di consumo rivolta al basso e di consacrarla come bevanda ideale, adatta a tutte le tavole e a tutti i cibi. La frase finale dello spot, “Birra, e sai cosa bevi”, in un paese tradizionalmente votato al vino come l’Italia, si poneva anche in contrasto con lo scandalo del 1986 del vino al metanolo che causò intossicazioni e morti. La birra allora era solo chiara, come le auto nere di Ford, e la sua trasparenza, leggerezza e naturalezza facevano dire ad Arbore, sempre rivolto al pubblico: “meditate gente, meditate”. Da qui deriva il fatto che l’Italia è il paese in cui il punteggio di reputazione della birra è il più alto d’Europa (78% contro il 65% della media europea). Da Arbore in poi il consumo di birra è esploso. Pensate solo che dal 2010 al 2015 la produzione di birra è ancora aumentata del 10%. Pochi forse sanno invece che AssoBirra, che corrisponde alla nostra Anfao, trent’anni dopo ha fatto bis sul mercato con una campagna consumer rivolta alle donne, dal titolo “Birra io ti amo”, con un sito omonimo ricco di ricette accoppiate a tanti tipi di birra, non solo chiara. L’obiettivo oggi è sdoganare la birra dal consumo di quantità per giungere a quello di qualità e di abbinamento tipico del vino e di un paese mediterraneo.
E l’ottica, che cosa c’entra? Abbiamo bisogno di… birra. Tanta. I consumi interni sono congelati da anni. Nonostante gli upgrade tecnologici delle aziende delle lenti oftalmiche e gli sforzi creativi delle case di moda siamo al palo, come si direbbe di un cavallo da corsa. Crescita zero e una leggerissima anticipazione nel ricambio dell’occhiale che oggi si avvicina più ai tre anni che ai quattro. Ridurre il tempo di ricambio è ormai una strategia che non basta e non paga. Dobbiamo pensare a una pubblicità progresso come per la birra e convincere il pubblico italiano che “è finita l’età dell’occhiale per tutto”, come è finita l’epoca della sola birra chiara e delle auto nere. Il progetto lanciato nel novembre scorso da Assogruppi per creare valore nella filiera potrebbe trasformarsi in un germoglio su questo terreno.
Se facessimo un sondaggio sulla reputazione dell’occhiale che cosa ne potremmo trarre? Che la gente non l’ha ancora sdoganato come compagno di vita, che non cerca la “birra” ideale cui accoppiarlo per il corso della giornata. Nonostante il web, le collezioni esclusive, le lenti performanti l’occhiale si abbina poco, lo si indossa e basta. Se l’ottico ritiene che sia un problema da gestire solo dall’alto, da un lato non si può dargli torto ma allo stesso tempo va consigliato di coltivare meglio di tutti il proprio giardino. Gli abbinamenti, le dotazioni sono un’idea che può partire soprattutto dallo studio e infine dal banco di vendita. A volte ci frena la spesa finale che il nostro cliente deve affrontare per una ulteriore dotazione, banalmente l’acquisto contemporaneo di un occhiale da vista e di un occhiale vista sole, ma questa barriera psicologica va rimossa al più presto. La crisi dei consumi in Italia nell’ottica parte anche da noi. È interna. Inizia dal nostro cervello.
Nicola Di Lernia

 

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