Ipovisione: miglioramenti visivi grazie a una lieve stimolazione elettrica?

Al risultato è giunto uno studio condotto da ricercatori e medici della sede romana dell’Università Cattolica e del Policlinico Universitario Gemelli Irccs, pubblicata sulla rivista scientifica Brain Stimulation, che ha coinvolto circa quaranta pazienti ipovedenti di varia gravità

Lo studio, condotto da Giuseppe Granata e coordinato da Paolo Maria Rossini, rispettivamente neurologo e direttore dell’Area di Neuroscienze del Policlinico Gemelli e Ordinario di Neurologia all’Università Cattolica di Roma, «ha dimostrato che con una piccola stimolazione elettrica diretta dall’esterno, in modo assolutamente non invasivo, a retina e nervo ottico, si possono ottenere dei miglioramenti visivi nei casi di ipovisione più o meno grave», si legge sul sito del Gemelli.
Gli esperti si sono avvalsi della “stimolazione elettrica transcranica”, una tecnica già in uso clinico per malattie quali la depressione maggiore, come spiega Granata, non invasiva, con corrente alternata che si applica vicino agli occhi mediante degli elettrodi a coppetta che il paziente percepisce al massimo come un piccolo formicolio o una leggera scossa elettrica. «Noi l'abbiamo testato su pazienti ipovedenti di varia gravità, da marcata riduzione del campo visivo a cecità praticamente completa, colpiti da lesioni sia retiniche sia del nervo ottico e cerebrali, coinvolgendo a oggi circa quaranta pazienti», afferma nella nota il neurologo.
Secondo quanto riportato dal sito dell’ospedale romano, si è visto che un ciclo di stimolazioni effettuate per venti minuti al giorno cinque giorni su sette per due settimane può generare, in una quota di pazienti ipovedenti, un miglioramento della funzione visiva residua. «È stato, infatti, dimostrato che in un gruppo di questi pazienti dopo ciascun ciclo di stimolazione vi è miglioramento oggettivo della risposta cerebrale a stimoli luminosi e molti dei soggetti trattati hanno riferito anche dei miglioramenti soggettivi più o meno significativi. Tali miglioramenti in genere perdurano nel tempo, anche se non è noto quanto a lungo», conclude la nota.
(red.)

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