Il monomarca, l’ennesima svolta dell’ottica in Italia?

Al convegno sul Franchising dell’ottica di Firenze del maggio 2017 feci osservare alla platea che un trend in essere era quello del negozio monobrand. Da allora in Italia hanno aperto, partendo da Milano e Roma, store Ray-Ban, Moscot e Oliver Peoples, ad esempio. Resta da capire se ancora poche “rondini” avvieranno una nuova stagione per il settore

Dopo l’abbigliamento, la calzatura e la pelletteria monomarca oggi il pubblico inizia a “gustare” anche il negozio dedicato a un brand di occhiali, in Italia e anche all’estero, con Mykita, Etnia Barcellona o Sama, tra gli altri. Chi aprì di fatto questa stagione per l’ottica fu, nel secondo millennio, Alain Mikli, con i suoi negozi di Parigi prima e Milano, New York e altre città del mondo poi. Mikli la sapeva lunga. Nonostante fosse stato il canale retail classico a consacrare le sue plastiche colorate, era convinto che il brand deve poter vivere in uno spazio dedicato e votato alla sua beatificazione. Luoghi dove le persone sono perfettamente in sintonia con i valori del prodotto che propongono fino a esserne innamorati e orgogliosi. L’effetto che fu di Mikli l’ho potuto percepire un anno fa visitando il “tempio” di Moscot a Roma in via Cola di Rienzo (nella foto). In uno spazio definibile piccolo per la grandezza di quella via commerciale, paragonabile al corso Buenos Aires di Milano, si presenta come un antro per fedelissimi del brand piuttosto che per turisti curiosi. Immergersi nel primo Novecento della New York in bianco e nero circondato da centinaia di modelli esclusivi introvabili in un unico negozio tradizionale, per l’amante di Moscot credo sia da considerarsi un’esperienza davvero eccitante.
Per Ray-Ban l’effetto è un altro. Da tempo il noto marchio ha “invaso” i negozi indipendenti top dei centri cittadini con una sorta di shop in shop, concetto tra l’altro applicato in passato anche da Alain Mikli, dove il cliente dell’ottico può mettere un piede nell’acqua del grande lago dei modelli iconici di Ray-Ban. Un assaggio che avrebbe portato al preludio dei nuovi Salmoiraghi & Vigano: come quello di Venezia, ad esempio, dove lo shop in shop Ray-Ban è declinato, vicino all’ingresso sempre aperto, per attirare la clientela turistica richiamata dal brand o semplicemente curiosa. Da veneziano, catapultarmi nel nuovo Ray-Ban store in piazza Bra a Verona e percorrere quell’imbuto di via Mazzini che conduce dall’Arena a piazza delle Erbe e alla casa di Giulietta, è cosa da nulla. I tre giovani che mi accolgono risultano amichevoli. Due di loro sono ottici. Il primo mi chiede se sono di Verona o di passaggio. L’ambiente è Ray-Ban, piccolo ma funzionale, con il piano superiore dedicato al vista. Intravedo un nuovo modello tra gli scaffali messo in risalto da una cornice rossa. Lo Square del 1971. Adoro il blu e lo trovo. L’ottico mi informa della storia dell’occhiale ma mi evidenzia la novità delle lenti Evolve. All’interno sono abbastanza scure ma all’esterno, e lui mi ci porta a vedere, si scuriscono al punto di non mostrare più gli occhi. Mi piacciono, pago, accenno a uno sconto e lo ottengo. Due euro per il caffè. La cosiddetta esperienza d’acquisto Ray-Ban è condita dal pacchetto di servizi che l’ottico sottolinea. Noto che tra i vantaggi della Sun Card figura la possibilità di rivolgersi a uno dei negozi Salmoiraghi & Viganò per ogni esigenza legata al Ray-Ban appena acquistato. Esco dal negozio con un sottile piacere. In quel chilometro di vetrine che mi conduce a Giulietta ci sono anche un punto vendita Salmoiraghi & Viganò, un Fielmann e un GrandVision.
La mia impressione? Che non basta fare il monomarca, neppure per Ray-Ban: occorrono competenza interna, servizi durante e dopo l’acquisto, novità di prodotto anche ripescato dal passato e innovazione sulle lenti. In sostanza non si vive solo di marchio: è giusto ricordarlo ai tanti negozi di ottica tradizionali che quando apre un Fielmann o un Nau! non imbiancano neppure le pareti. Ben venga allora questa stagione dei monomarca, brindiamo anche al primo esperimento di GreenVision-Thema a Torino, ma con un’avvertenza. Nell’ottica c’è spazio per tutti, o quasi. Il giudice è finalmente oggi il cliente finale. Solo lui risulta in grado di esprimere giudizi assoluti che possono determinare il successo o la morte lenta - nell’ottica è quasi sempre lenta - del brand, dell’azienda, del retailer. Un giovane ristoratore cinese, laureato alla Bocconi, mi sussurrò in uno dei suoi locali gourmet di Milano un detto del suo paese: aprire un negozio è facile, difficile è tenerlo aperto.
Nicola Di Lernia

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