Il deficit visivo aumenta il rischio di declino cognitivo?

È la domanda cui ha cercato di rispondere uno dei talk di Leonardo in Conversation, il format educativo promosso da EssilorLuxottica all’ultimo Mido

La presbiopia è una bella gatta da pelare per gli over 40. Una cattiva correzione è in grado di inficiare non solo la qualità visiva del soggetto, ma anche di creare malesseri che, a lungo andare, possono diventare cronici e persino sfociare in patologie. Disturbi fisici, a fine giornata lavorativa, legati a posture sbagliate o mal di testa ricorrenti a causa dell’esposizione prolungata ai digital device, ad esempio. Nei salotti aggregati tra medici oculisti e ottici optometristi e nei vari convegni sta cominciando a delinearsi l’effetto della presbiopia mal corretta sulla salute delle persone, benché non sia ancora sufficientemente supportato da evidenze scientifiche. Quando mi è stato proposto di condurre un talk dedicato alla relazione tra deficit visivo e declino cognitivo, la prima domanda è stata: esiste uno studio? Lo studio è di EssilorLuxottica, in collaborazione con il Laboratorio di Epidemiologia Inserm di Bordeaux, che ha impegnato 9.294 partecipanti di età superiore ai 65 anni in un follow-up longitudinale della durata di 16 anni.

Tale indagine è stata presentata a Mido 2025 da Angelo Arleo, vice president research & foresight, lens innovation di EssilorLuxottica, partendo dal tema della relazione tra declino sensoriale e cognitivo. Declino che vede spesso la vista abbinata all’udito. I rischi evidenziati dalla ricerca non sono da sottovalutare su una popolazione che in Italia è ancora particolarmente attiva, ha generalmente un’elevata disponibilità di reddito e contribuisce numericamente ed economicamente oltre la media alla ricchezza del nostro paese. Dallo studio emerge un’associazione significativa tra perdita visiva e rischio di demenza e un impatto importante sull’autonomia della persona. Molti degli over 65 coinvolti nel test hanno evidenziato errori di rifrazione non corretti adeguatamente: questo mi fa presumere che la sottovalutazione della presbiopia possa trascinare la popolazione matura a situazioni di malessere e degenerazione mai considerate fino a ora, rispetto a un ideale di invecchiamento ancora tutto da inventare.

L’aspettativa di vita degli italiani è tornata al livello pre-Covid e i nostri sessantacinquenni auspicano almeno altri dieci anni di vita attiva e in buona salute. Ritengo che la “vista cattiva” non sia ancora percepita da parte loro quale una possibile fonte di senilità precoce, come invece succede già per l’udito. Le campagne di prevenzione dell’udito hanno spesso toccato le corde del problema della depressione, dell’isolamento sociale, della riduzione dell’attività di chi sente male: lo studio di EssilorLuxottica disegna un quadro simile anche nel nostro mondo. Nei prossimi anni l’oftalmica dovrebbe trovare nel mondo della salute il proprio habitat naturale non solo per la progressione della miopia, ma anche per la gestione della presbiopia. Le evidenze cliniche sulle lenti dedicate al controllo dell’evoluzione miopica, ad esempio, hanno avvicinato la lente da vista a un ruolo preventivo e terapeutico oltre che correttivo. Ruolo confermato anche dalla classe medica.

La vista non sarà fragile in futuro solo per patologie conclamate, ma anche per situazioni sommerse in grado di compromettere il benessere di un’ampia fetta di popolazione, gli over 65, che nel 2050 rappresenteranno, secondo i dati Istat, il 34% circa degli italiani, cioè quasi 20 milioni di persone. Se negli ultimi anni il richiamo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità è stato che entro il 2050 metà della popolazione mondiale rischia di diventare miope, un analogo campanello d’allarme lo si potrebbe far scattare per la presbiopia in Italia. Mal correggerla o sottovalutarla rischia di essere uno dei mali del nostro secolo.

Nicola Di Lernia

Professione