Il cocktail giusto per l’ottica di oggi

A Venezia lo Spritz è l’aperitivo più democratico. Dato il suo costo, dai 2,50 ai 3 euro, tutti se lo possono permettere e nessun barista ti lesina delle patatine in accompagnamento. Se sei a Milano però l’Aperol Spritz diventa un cocktail e costa tre volte tanto, anche senza patatine. Un bell’esempio di up selling da seguire anche nel nostro settore

Spritz deriva dal tedesco, significa “spruzzare”, perché in origine lo Spritz era vino bianco e soda spruzzata sopra. A Venezia gli esami universitari erano scanditi dagli Spritz con il Campari. Quello con l’Aperol allora lo bevevano le donne che non reggevano l’alcool. In ogni caso, che sia bianco, rosso o arancione, uno Spritz al giorno tutti in Laguna se lo concedono. Come una lente in Cr39 senza trattamenti. In questi ultimi dieci anni l’Aperol ha internazionalizzato lo Spritz con il suo aperitivo, facendolo diventare Aperol Spritz appunto. Cambi leggermente il nome ed entri nella “bibbia” dei cocktail. Insieme al nome però sono cambiati anche gli ingredienti e il posizionamento sociale.
L’up selling dello Spritz con l’Aperol è iniziato così, facendo up sul suo vecchio nome, rendendolo più accattivante dal punto di vista mediatico. Così come potrebbe essere il passaggio dai trattamenti di oggi alle protezioni di domani. Se l’antiriflesso classico, che si concedeva il Cr39, si poteva considerare un trattamento basico e un lusso accessibile a tutti, oggi un antiriflesso di ultima generazione, abbinato a un UV e blu block, non può che considerarsi una vera e propria protezione dal progresso. Cambiano i nomi, il posizionamento mentale, ma soprattutto le esigenze e fruizioni del pubblico; e il prezzo sale. L’Aperol Spritz non è più una bibita dissetante ma un cocktail di aggregazione, non è più consumato al banco ma seduti al tavolino, come se si fosse in vetrina. Al pari dell’indossare la magia del fotocromatico estivo o la sfumatura rosa su un glasant. Cambia la fruizione e cambiano gli accessori che l’accompagnano. Oggi basta con patatine e Spritz: con l’Aperol Spritz meglio il sushi. Così in un occhiale, ma soprattutto in una lente, non ci accorgiamo di quanto possiamo metterci per rendere la visione, e quindi la persona, più felici e socialmente realizzate.
Quale sarebbe il cocktail dell’anno dell’ottica oftalmica? Io non mi fermerei allo Spritz, che più o meno tutti sanno fare e “storpiare”. Mi azzarderei a miscelare un Americano da intenditori: vermouth rosso, preferibilmente riserva Carlo Alberto, Bitter Campari, soda e una fettina di arancia. Che nell’ottica potrebbe essere un mix di lenti progressive (30%) abbinate a monofocali di nuova generazione (20%) per un 80% di trattamenti antiriflesso top e UV block e un 33% di blu block. Il tutto guarnito con materiale ad alto indice (pari al 50% delle lenti trattate) e accompagnato da almeno un terzo di lenti veramente personalizzate, come le servono ad esempio in Francia. Chi si stancasse dell’Americano potrebbe passare al Negroni, aggiungendo una spruzzata di gin: un po’ come indicato nell’ultimo Congresso Eaoo di Roma, con la gestione miopica negli adolescenti. Ma, ricordate, ogni grande barman sa usare il bicchiere giusto per ogni cocktail. Quello dell’Americano è il tumbler o l’old fashioned. Un avviso a chi ne sa molto di optometria, ma esercita e vende in negozi sbagliati.
Nicola Di Lernia

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