La scarsa predisposizione scegliere il quinquennio superiore di ottica da parte di chi esce dalle scuole medie va considerata un fatto isolato o valutata nel più ampio fenomeno di crisi della formazione professionale?
Da alcuni anni si assiste a scelte di scuola superiore prevalenti verso i licei. Può essere un distacco da titoli immediatamente operativi (ad esempio l’ottico permette l’accesso a una “libera professione”) o un disinteresse per i vari ambiti che una volta ne suscitavano di più (oltre all’ottica, anche l’informatica, la chimica o la meccanica): in fondo sembra che una “materia”, concretamente intesa, non determini più un vero stimolo a 13-14 anni. Talvolta accade che chi porta gli occhiali sia attratto dal corso di ottica, ma la maggioranza degli iscritti alle secondarie superiori lo considera un corso "originale" più che un interesse per l’ambito, eventualmente dopo aver scartato gli altri. Da anni ringrazio i ragazzi, e i loro genitori, che hanno optato per la scuola di ottica, perché è una scelta controcorrente e concreta, e sono convinto che cercare di imparare un lavoro sia altamente formativo: gli istituti professionali da trent’anni sono quinquennali come tutte le superiori, per cui un po’ meno applicativi ma più culturali.
Sempre meno giovani con il diploma di maturità si iscrivono al corso di laurea in Ottica e Optometria: quali sono le ragioni di questa tendenza? Riguarda soprattutto i diplomati delle scuole professionali di ottica o un po’ tutti? Cosa dovrebbero fare i 9 nove corsi di laurea in Ottica e Optometria per favorire l’accesso di chi ha un diploma di maturità?
La continuità tra scuole superiori di ottica e corso di laurea in Ottica e Optometria dovrebbe essere spontanea, come perfezionamento delle conoscenze precedenti. Infatti chi studia ottica alle superiori e poi all’università esce con una formazione solida. Il sociologo Richard Sennett indica con 10.000 ore la necessità di formazione, circa 10 anni: a questi studenti quindi, con formazione di 5+3 anni, idealmente mancano due anni e possono essere considerati colleghi. Chi arriva invece al corso di laurea senza precedente formazione d’indirizzo, si inserirà ma sarà inevitabilmente un po' in ritardo. Direi che è lo stesso, ad esempio, per il perito che poi studia ingegneria: chi sceglie presto, un vantaggio ce l’ha. Un altro fattore destabilizzante è l’immediata lusinga del lavoro: un impiego a 19 anni, alla prima esperienza, con retribuzione di circa 1.100 euro netti può essere esaltante, rende immaginabile l’autonomia. Credo che per questo motivo molti diplomati decidano di interrompere gli studi, perché un posto come ottico già bussa alla porta. Poi, il lavoro stesso mette in risalto le debolezze e parecchi si illudono che basti la formazione delle aziende, necessaria ma limitata al prodotto, o gli eventi di approfondimento, utili ma spesso frammentari e raramente finalizzati a offrire un aggiornamento più ampio: un percorso formativo terziario o universitario è ormai indispensabile, purché sia di buona qualità. Per dare un segno e facilitare la continuità tra i corsi, l’università potrebbe riconoscere alcuni crediti opzionali a chi già possiede l’abilitazione come ottico, che indica il superamento di uno specifico esame di Stato, ulteriore dopo quello di maturità.
Due delle maggiori scuole professionali private sono state recentemente acquisite da altrettanti gruppi dell’industria e della distribuzione: la forbice tra domanda di professionisti da parte del retail e accessi al percorso di abilitazione professionale potrebbe favorire altre operazioni di questo genere? Cosa dovrebbero fare le realtà private per rendere più appetibili e quindi più richiesti i due anni di ottica, con l’aggiunta dell’ulteriore anno di specializzazione in optometria?
Le acquisizioni hanno lasciato interdetti molti. In genere, si ritiene socialmente necessaria una triade: scuola o università, associazioni culturali-scientifiche e professionali-sindacali, produttori. Sullo sfondo ci sono le leggi che valgono per tutti e il mercato dove ci si confronta. Certo la proprietà della scuola può essere di chiunque, se l’attività è gestita dai docenti, dalla loro onestà intellettuale: se invece la scuola ha indirizzo predefinito e imposto, allora la cultura ne risentirà. Poi le associazioni sono di stimolo alle scuole stesse, evidenziano le necessità del lavoro e della cultura specifica. I produttori fanno proposte, innovazioni, investimenti e sono abituati al confronto. Ora un po’ tutti e tre questi attori fanno “scuola”: alle vere e proprie scuole rimangono i "titoli" e così cercano di equilibrare il futuro professionista, che nell'aula scolastica affronta anche aspetti non di immediata necessità. Finché la “biodiversità” dell’ambito è tutelata da formazioni diverse, il servizio si può confrontare e può persino crescere. Quando, invece, si tende al monopensiero, credo ci rimettano tutti, perché il confronto è sullo stesso piano e tende ad attivare le strategie aggressive o eccessive e così via. Non dimentichiamo che in ottica e optometria si scelgono e vendono dispositivi, ma più del 50% del valore in gioco è il servizio: oltre all’esame visivo, il centraggio, le lavorazioni, l’assistenza, la scelta e la consulenza, fino alla risoluzione dei problemi post vendita. Se non fosse così, il ricarico sul costo dei materiali sarebbe minore. Chi vende occhiali online li tratta solo come oggetti, ma per un dispositivo individuale non ha senso. Per le lenti a contatto è anche peggio: se non c’è un esperto che le gestisce, il porto può dare problemi. Sono infatti convinto che la gran parte delle cheratiti infettive che finiscono nei pronto soccorso italiani non ha ricevuto controlli regolari precedenti. Con l’associazione europea Ecoo ho coordinato la position paper Contact lenses are safe, don’t misuse them: qualunque cosa usata male fa male. Gli studenti chiedono una formazione applicativa e di approfondimento, per far qualcosa e per trovare stupore e bellezza nella materia: questa mi pare la via, pratica e approfondita. Perciò optometria, con tutto lo studio della visione e delle attività correlate alla visione stessa, ha bisogno di tre anni a livello superiore, meglio se dopo una formazione più orientata al dispositivo. La sintesi di Tiopto va in questo senso, con due figure professionali: ottico, optometrista e ottico. Più orientato al dispositivo il primo, più alla funzione visiva l’altro, ma con una base comune e sempre nello stesso ambito, come indica l'Istat. Un “optometrista che non sappia fare anche l’ottico”, per formazione e non per scelta individuale, non esiste in nessuna parte del mondo».
A.M.