Crescita del Pil e consumi al ribasso: una dicotomia sostenibile?

Uffici studi ed esperti parlano di una netta ripresa economica per il nostro paese nel 2021. Ma la realtà di molte famiglie italiane è diversa, alla luce della dinamica di alcuni macro trend

L’Istat stima per il terzo trimestre di quest’anno un aumento del Pil pari al 2,6% rispetto al trimestre precedente e del 3,8% in termini tendenziali, con una previsione di crescita a fine 2021 del 6,1% rispetto all’anno precedente. Va considerato che nel pre pandemia, secondo dati di Confcommercio, tra il 1996 e il 2013 l’Italia è il paese che ha registrato le dinamiche di sviluppo del Pil pro capite “di appena il 2,1%, ben lontano da Francia (+18%), Spagna (+24,5%), Germania (+25,4%) e Regno Unito (+31,9%)”. In questo quadro, come si colloca la notizia che a una famiglia media italiana verranno tolti dalle tasche quasi mille euro su base annua a causa dei rincari? Con l’inflazione al 3% e la corsa senza sosta dei listini dei carburanti, che oggi costano alla pompa il 30% in più rispetto allo scorso anno insieme al rincaro dell’energia di quasi il 25%, come possiamo spiegare agli italiani che l’economia è in ripresa? Sempre secondo l’Ufficio Studi di Confcommercio, nell’ipotesi di un aumento medio dei prezzi del 3% si perderebbero circa 2,7 miliardi di euro di consumi, che potrebbero arrivare fino a 5,3 miliardi nell’ipotesi di un’inflazione al 4%.

Ogni impresa in questi giorni ha dato i propri numeri. Tutti più o meno convergono su una stabilizzazione del fatturato sui binari pre Covid. Molti, anche nell’ottica, si esprimono su scenari di mercati internazionali in ripresa nonostante le difficoltà logistiche e i rincari dei trasporti e l’aumento spropositato, se non l’irreperibilità, di alcune materie prime. Se vogliamo sintonizzarci su ogni opinione rischiamo di uscirne disorientati. Un organismo autorevole come la Cgia di Mestre ha recentemente evidenziato come da febbraio 2020 a settembre 2021 ci sia stata la falcidia dei lavoratori autonomi (-327 mila) e quindi della microimpresa. Questo dato negativo non è stato recuperato dalle assunzioni, per lo più a tempo determinato, che sempre secondo la medesima fonte e sempre nello stesso periodo sono cresciute di oltre 100 mila unità, mentre i dipendenti a tempo indeterminato sono diminuiti di 95 mila.

Il nostro paese in questi venti mesi ha profuso un grande quantitativo di denaro per arginare l’alluvione sociale ed economica scatenata dalla pandemia. Eppure non possiamo permetterci di essere né ottimisti né pessimisti, ma semplicemente realisti. Realisti sul fatto che l’impatto sanitario dell’emergenza non è ancora terminato. Realisti che, dopo l’influenza, che tu sia sfebbrato non indica che sei guarito. Realisti soprattutto sui proclami. Oggi occorre un impegno collettivo diverso e un approccio al mercato innovativo nelle relazioni rispetto al 2019. Non credo al segno X sulla schedina: l’economia non tornerà nel 2022 quella di prima, anche nell’ottica. O peggio, tanto peggio; o meglio, molto meglio. Sta a noi, singolarmente, mettere il nostro piccolo mattone. Senza girarci dall’altra parte.

Nicola Di Lernia

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