Con la cultura si “mangia” nell’ottica?

Il titolo prende spunto da una presunta frase dell’ex ministro Giulio Tremonti, che sembrava non credere nell’economia del comparto culturale. Negli ultimi anni i segnali nel nostro settore sono andati dalla parte opposta, quasi a certificare una corrispondenza tra la bellezza del mestiere e quella nel senso più comune

Viviamo in un paese che difficilmente potrebbe prendere le distanze dalla propria cultura. Anzi, se lo facesse veramente, come talvolta minaccia, creerebbe danni a se stesso. Il cosiddetto Sistema Produttivo Culturale e Creativo in Italia supera i 92 miliardi di euro, pari a circa il 6% del pil, e occupa intorno a 1,5 milioni di persone. Le sinergie, innescate dalle attività culturali e dagli investimenti, hanno ricadute positive su tutta la nostra economia. Anche sull’ottica. Se guardiamo però a quanto investiamo in istruzione e cultura per ottenere questo 6% di pil, dovremmo coprirci gli occhi. All’interno dell’Unione Europea, infatti, l'Italia è nelle posizioni più basse per percentuale di spesa pubblica destinata all'istruzione e per quella indirizzata alla cultura. In sostanza viviamo sugli allori, manteniamo il nostro patrimonio culturale in uno stato di “motore al minimo” per ottenerne il massimo e ci votiamo agli antichi geni italici nella speranza che il loro dna trasudi sui banchi della scuola di oggi. Un mare piatto.
Fino a poco tempo fa anche l’ottica pareva insensibile alla simbiosi tra cultura e business. Probabilmente la riteneva un fardello, inappropriato alla professione, non convergente. Solo da alcuni anni, quelli in cui il negozio è diventato luogo non soltanto di ascolto e studio ma anche di piacere e relazione, la cultura è diventata un mediatore tra l’ottico e il pubblico. Una sorta di occasione, se non di acquisto, di visita di qualità, d’interlocuzione. Leggo attentamente di vari esperimenti impegnativi, come quello di Ottica Bisogno a Salerno, che ha dedicato un intero piano a un museo dell’occhiale in continua evoluzione. Il curatore è lo stesso Massimo Bisogno, che nel suo iter tra corsi professionali in Italia e all’estero acquista sempre pezzi antichi per ampliare l’offerta culturale. Quanto “mangia” con il museo? “Per prima cosa - sottolinea Massimo - la mia è passione. Esercito con il museo una sorta di marketing spirituale che non produce vendite immediate, ma un sentimento positivo verso la mia azienda. Questa esperienza ha inoltre accresciuto la mia autostima e il modo con cui mi pongo verso il pubblico. Mi sento orgoglioso, più forte, più motivato a proporre bellezza negli occhiali in un contesto come quello mio attuale”. Chi è più ricettivo, il pubblico locale o lo straniero che visita la Costiera Amalfitana? “Certamente lo straniero, che dispensa complimenti, mentre l’italiano ne è probabilmente orgoglioso ma non lo dimostra”.
Passando dai turisti in Campania a quelli di Venezia provo a trovare dei parallelismi in Ottica Manuela, vicino a Palazzo Grassi. Un centro ottico in Laguna vive molto degli avvenimenti culturali che lo circondano. La stessa Manuela conferma che con l’apertura della Biennale d’Arte a maggio, che si concluderà a novembre, il pubblico e i clienti sono aumentati come gli acquisti di pregio. Qui la cultura la farebbe vivere in ogni caso meglio, ma anche Manuela coltiva la stessa passione. I suoi eventi nel piccolo negozio con un’invidiabile corte nascosta sono diventati una sorta di “fuori Biennale” per molti veneziani e non, al punto di attirare clienti inusuali che sbirciano su questo insolito atelier. Tutto è legato sempre al business? “Purtroppo no - dice Manuela - Esiste una passione profonda per l’arte, la vivo costantemente anche attraverso mia figlia che lavora in un’importante galleria. Nonostante l’internazionalità di Venezia preferisco dare spazio ad artisti del territorio che siano in grado di trasportare la propria creatività anche nella mia passione per gli occhiali e il volto”.
Il rapporto con l’arte per l’ottica resta un bilancio che non si chiuderà mai, ma che vale la pena per tanti motivi. E, come dice lo stesso Bisogno, “non puoi scrivere la storia senza rimetterci”.
Nicola Di Lernia

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