Bruno Farneti, addio a un imprenditore ottico illuminato

Si è spento il 25 maggio, all’età di 86 anni, il professionista di origini romagnole che insieme all’amico e socio Romano Marziali contribuì alla nascita negli anni 60 della Marziali e Farneti, importante insegna familiare dell’ottica che oggi conta undici negozi diretti e due affiliati e oltre sessanta dipendenti tra le province di Bergamo, Milano e la Brianza

Un uomo buono in tutti i sensi, tranquillo, di poche parole e con una grande pazienza, molto amato. Così Valentina Farneti, che oggi insieme alla sorella Liliana e a Luca Marziali, figlio di Romano, gestisce l’attività, ricorda il padre Bruno. Il quale, partendo da Dovadola, piccolo centro in provincia di Forlì, dove era nato nel 1933, andò all’estero per poi tornare in Italia e divenire ottico. «Papà era rimasto orfano giovanissimo ed essendo l’uomo di casa era emigrato per sostenere economicamente la madre e le sorelle, facendo l’operaio nelle fabbriche in Germania e in Svizzera - racconta a b2eyes TODAY Valentina Farneti - Proprio in Svizzera ebbe i primi contatti con la famiglia Marziali: qui conobbe infatti la sorella di Romano, del quale in seguito sarebbe diventato grande amico». Un profondo legame personale che si trasformò anche in un sodalizio professionale. Fu proprio Romano, il quale sin da ragazzino era andato a bottega presso l’Ottica Isnenghi di Bergamo e si era appassionato al mestiere decidendo di conseguire il diploma di ottica, ad avere l’idea e a coinvolgere Bruno Farneti (nella foto) in quella che sarebbe stata un’avventura imprenditoriale di successo. Quest’ultimo, infatti, tornato in Italia, si diplomò a sua volta in ottica e insieme i due amici avviarono un laboratorio per l’occhialeria cui seguì, nel 1963, il primo negozio a Treviglio. «Dopo il diploma papà iniziò a lavorare come ottico e poi a insegnare presso l’Istituto Galileo Galilei di Milano, dove conobbe mia madre, Maria Stella Pavoni, che era stata sua allieva – prosegue la professionista bergamasca – L’attività negli anni crebbe, papà e Romano sono stati due pionieri in tante cose, hanno precorso i tempi: per l’epoca non era usuale dare vita a una catena come la nostra, che è familiare, con tanti negozi, dando fiducia ai collaboratori che c’erano ai tempi e ci sono ancora e facendoli diventare dei piccoli soci». La Marziali e Farneti fu anche tra le prime realtà regionali a comprendere le potenzialità della contattologia: avviò un centro specializzato a Bergamo in via Verdi cui seguirono, a distanza di qualche anno, le aperture dei negozi di viale Papa Giovanni e di via Zambonate. Successive acquisizioni e la creazione del brand Pavoni e Valli, “dedicato” alle mogli di Bruno e Romano, diedero all’impresa la sua attuale fisionomia.
«Quando l’attività si è evoluta, ogni negozio sceglieva il suo assortimento, ma all’inizio era papà che si occupava degli acquisti – prosegue Valentina nel racconto - Girava i punti vendita, si rapportava con i rappresentanti, con gli oculisti: era l’uomo immagine, per così dire. Lui lavorava nel centro di viale Papa Giovanni, che qualche anno fa abbiamo chiuso e trasferito a Curno, dove sono adesso io. In negozio ha continuato a venire sino al 2011, finché la malattia glielo ha permesso, ma si informava sempre, chiedeva come andava. Io, che già da adolescente andavo al lavoro con lui e osservavo, l’ho affiancato dal 2004, quando dopo la laurea ho deciso di diplomarmi in ottica al Leonardo da Vinci di Bergamo ed entrare nell’attività di famiglia. Mi aveva lasciata libera di scegliere, ma sapevo che gli avrebbe fatto piacere. Ho dei ricordi di papà in laboratorio che mi insegnava, la domenica mattina prima dell’esame di abilitazione, a sgrezzare le lenti, a molarle. E quando se ne rompeva una mi diceva sorridendo di non preoccuparmi, perché solo sbagliando potevo crescere e imparare, ma poi aggiungeva scherzando di cercare almeno di non romperle tutte. Non gli interessava la perfezione, diceva, gli bastava che le sue figlie fossero sempre corrette e rispettose con tutti, anche sul lavoro, ed è uno degli insegnamenti più grandi che mi ha dato. Penso che quelle dei suoi dipendenti non siano parole di circostanza quando affermano che era una persona buona in tutti i sensi: tante volte lavorava lui le domeniche sotto Natale perché sosteneva che anche i dipendenti hanno una famiglia. E non aveva paura di “sporcarsi”, non pensava di non doversi occupare di determinate cose solo perché era il titolare, anzi era il primo a fare i lavori più umili».
N.T.

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