Bosso, dai Ray-Ban di gioventù alla poesia disperata in musica

Bastava sentire le prime note della sonata “Al chiaro di luna” di Beethoven per rendersi conto che l’artista scomparso venerdì scorso era molto di più di un grande interprete

Anche vederlo, con le mille espressioni del viso e quel modo di muoversi, si intuiva un talento speciale. Quel dare importanza nell’esecuzione alle piccole pause “che creano attesa” diceva, perché “la musica sta nel silenzio”. Molto diversa la sua immagine in una foto che lo ritrae giovanissimo con il gruppo mod degli Statuto, con cui aveva suonato per tre anni: enormi Ray-Ban (nella foto, tratta da ilfattoquotidiano.it), giacca e cravatta, di mezzo tra un jazzista del soul o un Beatles dei primi tempi. Non è un caso che fosse stato cacciato dal Conservatorio e che piacesse anche a chi di musica classica era digiuno.

Del resto per lui esisteva tutta la musica, come conosceva e suonava vari strumenti, oltre a dirigere e comporre, anche se le sue interpretazioni di Bach e Beethoven al pianoforte restano i suoi capolavori. Per lui la musica era vita, incontro, amore, spazio, libertà, forse per questo qualcuno l’aveva definito il Poeta della musica. Nonostante la malattia neurodegenerativa, che l’aveva colpito dopo l’operazione al cervello, aveva continuato a suonare fino allo scorso autunno, quando era stato obbligato a smettere per le due dita che non articolava più. Se n’è andato troppo presto, ma la sua “poesia disperata” in forma di musica l’ha reso eterno.

Luisa Espanet

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