Un visionario dimenticato dall’ottica

La scomparsa di Alberto Isolani (nella foto) mi addolora per due motivi. Non potrò più osservarlo a distanza, come si fa in allenamento con un campione, e non potrò più scambiarci due battute come avrei voluto da tempo

Alberto Isolani è stato uno dei primi tra i grandi dell’ottica che ho conosciuto nella mia trentennale carriera. Come ha ben ricordato a questo quotidiano Giulio Velati, Isolani era un campione della contattologia. Aveva capito prima di tanti il fenomeno del ricambio frequente. A inizio anni 90 ero a capo del marketing di un’azienda del Gruppo Ciba che aveva ereditato la contattologia della Galileo della fine del decennio precedente. Circa cento operai specializzati e tanti torni per realizzare lenti speciali su misura. Di lì a poco sarebbe nato il fenomeno Johnson & Johnson con Acuvue, che avrebbe portato le lenti a contatto in Italia a essere distribuite non più dal 30% degli ottici ma dalla loro quasi totalità. Quando venne in azienda, Isolani fu chiaro: il frequent replacement program per lui era uno dei modi per riavvicinare il medico oculista, scottato dalle lenti a contatto permanenti, alla contattologia. Infine mi disse che quello della lente “fresca” era anche il desiderio del giovane consumatore di lac e che quindi la strada risultava irrimediabilmente tracciata. Di lì a qualche anno in Ciba scomparvero i cento operai, i torni furono venduti e le nostre “usa e getta” iniziarono a essere prodotte in qualche isola del Pacifico.

L’uragano che attraversò il mercato delle lenti a contatto e i suoi produttori e distributori fu paragonabile a quello creato da Steve Jobs con il lancio del suo primo iPhone. Nulla sarebbe stato più come prima. Isolani, successivamente, lo persi di vista. In questi anni tentai più volte di trovare l’occasione per rendergli il tributo che meritava. L’ultima fu con il Progressive Business Forum 2019, quando insistetti, anche con il suo amico Ferdinando Fabiano, perché Isolani salisse pochi minuti sul palco di Firenze per dimostrargli l’affetto che questo mercato ha faticato a riconoscergli soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Isolani era un visionario, alla genovese. Ovvero realista, come avrebbe decretato Federico Fellini, ma aperto al mondo come un marinaio perché sapeva che il successo era determinato dalla capacità di anticipare eventi e bisogni.

Mi sono domandato spesso perché fossimo in pochi a sentire l’esigenza di vederlo su un palco a raccontare e raccontarsi, offrendoci una sorta di lectio magistralis da tenere in memoria come quella del “siate folli” di Steve Jobs. Forse un motivo c’è. Quello dell’ottica è un mondo irriconoscente. Preferisce non ascoltare chi ne sa molto di più e vede lontano per poter continuare a fare sempre le stesse cose anche quando è il momento di cambiarle, come oggi. Peccato signor Isolani, se avesse deciso di venire l’anno scorso a Firenze su quel palco le avrei certamente chiesto quale sarebbe stata la sua ricetta di tutti questi anni e dei prossimi. Sapendo che lei non me l’avrebbe data, tanto facilmente.

Nicola Di Lernia

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