L’indagine di Dataroom del 25 febbraio scorso parte dal presupposto che “le farmacie promettono di eseguire esami non invasivi che fanno risparmiare tempo senza le lunghe attese lontano da casa o dall’ufficio, con la stessa qualità dei risultati di un laboratorio”. Una premessa importante, dato che le farmacie sono molto spesso il primo punto di contatto del paziente alla ricerca di risposte in fatto di salute. Però se queste risposte l’utente deve trovarle al di fuori del perimetro tradizionale del sistema sanitario, bisogna che risultati, modalità e responsabilità siano le stesse di quelle attuali. Così non pare.
Per prima cosa il servizio punta l’indice sulle diverse norme applicate. “I laboratori di analisi sono sottoposti per legge a un controllo di qualità interno e a uno esterno. Nella pratica significa che ogni mattina, e dove necessario più volte al giorno, viene controllato il buon funzionamento del macchinario che esegue l’esame”. Lo stesso non succede per le farmacie, che “non hanno alcun obbligo: né sul controllo di qualità dei risultati né sugli strumenti e le procedure che utilizzano. Di fatto ciò che viene misurato può non corrispondere ai valori che realmente circolano nel sangue”. In sostanza, comparando analisi di laboratorio e di farmacia i dati per lo stesso soggetto, ad esempio sul tasso di colesterolo, potrebbero differire in maniera significativa, per via soprattutto dei diversi sistemi diagnostici utilizzati nelle farmacie, denominati Point of care test, rispetto a quelli dei laboratori di analisi: da una prova diretta effettuata da Dataroom, prima in una farmacia del centro di Milano e pochi giorni dopo in laboratorio analisi dell’Asl, l’esito della farmacia è rassicurante, mentre quello del laboratorio invita a una verifica con il medico.
L’indagine qui ha già messo in evidenza due passaggi delicati. La mancata osservanza di controlli sulle farmacie e la possibile inattendibilità dei loro esami. Ne manca un terzo, formale e altrettanto rilevante: la farmacia consegna gli esiti in un modo alquanto sintetico. “Uno scontrino anonimo, senza la firma dell’operatore sanitario che ha eseguito le analisi e senza i valori di riferimento o, meglio, i limiti decisionali e target terapeutici che permettono di capire se il risultato - ammesso che sia corretto - rientra nei parametri. Un foglietto che non ha alcun valore di referto medico”. Se, come scrive Agatha Christie, un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, tre sono una prova, qui la prova sarebbe che, seguendo il ragionamento di Dataroom, le analisi della farmacia non rappresenterebbero un metro di valutazione idoneo per una diagnosi medica. Cosa che probabilmente, invece, la gente si aspetta.
Questi ragionamenti comportano anche una riflessione sulle prospettive della telemedicina. Al Forum Presbiopia 2024 di Napoli è stato presentato un caso italiano di telerefertazione, a mio avviso virtuoso, da parte di una insegna familiare di centri ottici del Veneto. Eppure l’ottico che investe cifre importanti per offrire al proprio cliente il servizio di telerefertazione, valutato a distanza da un oculista, pare oggi più soggetto a rischi di interpretazione da parte degli organi di controllo rispetto a un farmacista. Che sia la conferma del vecchio proverbio: “Non si va in Paradiso a dispetto dei Santi”?
Nicola Di Lernia