Dalla Seconda guerra mondiale il nostro paese è diventato un laboratorio di usi, espressioni, idiomi della lingua americana. Una sorta di civilizzazione nata dall’invasione e dalla successiva liberazione dell’Italia da parte degli alleati. Prendiamo, ad esempio, la parola gratis: alcuni pensano addirittura che sia di origine inglese e il suo vero significato oggi è stato travisato. Gratis et amore Dei è una locuzione latina che indica quando si dà o si riceve qualcosa senza che il destinatario sia legato da alcun obbligo verso il suo donatore.
Un ulteriore esempio, ripreso dal bel libro di Marco Balzano, Le parole sono importanti, pubblicato da Einaudi, è quello del termine sociale, in inglese social, molto diffuso oggi in rete. Sociale deriva dal latino socius, ovvero colui che ci accompagna. Nel Diritto romano il socius è l’alleato e la societas è la compagnia. Nel socio c’è il presupposto dell’alleato, del quale ci si può fidare. La parola social e quindi l’effetto dell’amicizia sulle attuali piattaforme web sono del tutto deformati rispetta all'etimologia di tale parola.
Senza conoscerne il reale significato e la radice usiamo numerosi termini che successivamente prendono vita e forma diverse, perdendo così molte delle loro proprietà. La televisione, dopo gli americani, ha rappresentato una nuova “invasione”. Molti hanno imparato l’italiano grazie a questo strumento, che aveva il compito morale di diffondere una cultura omogenea nella popolazione. Trasmissioni epiche come Non è mai troppo tardi del maestro Alberto Manzi, con il suo “Corso di istruzione popolare per adulti analfabeti”, andata in onda dal 1960 al 1968 sulla Rai, avevano questo scopo: tutti i giorni feriali, per circa trenta minuti, Manzi, con l’aiuto di una lavagna a grandi fogli, aiutava gli italiani a parlare meglio.
Secondo una rilevazione Istat, “nel 2022 la percentuale di adulti poco istruiti è del 37,4%, con una quota di popolazione che ha conseguito al più il titolo di licenza media prevalente nella componente maschile (40,1%) rispetto a quella femminile (34,8%)”. A sessant’anni di distanza, l’obiettivo di quella trasmissione televisiva non sembra essere stato centrato.
Nicola Di Lernia