Non siamo mica qui a mettere i pannelli fotovoltaici alle palafitte

Le recenti affermazioni della Soi e le risposte del ministero della Salute mi fanno credere che oltre all’innovazione va consolidata l’origine

La domanda di molti quando arrivano a Venezia è: come fanno a stare a galla da secoli i palazzi sull’acqua salsa? Semplicemente perché chi ha pensato a costruirli la sapeva lunga. La zona da edificare veniva solidificata e la si rendeva resistente mediante l’utilizzo di pali di legno conficcati nel terreno in modo da essere allineati lungo tutta l’area in cui sarebbero sorti i muri dell’edificio, partendo dal perimetro esterno e procedendo poi verso l’interno, seguendo un percorso a spirale. Per ogni metro quadrato erano generalmente piantati otto o nove pali in legno di lunghezza non superiore ai tre metri e di 25-30 centimetri di diametro. Sulle teste dei pali, dopo averle pareggiate, venivano stesi uno o due ordini di tavoloni di pietra d’Istria. Poi, sopra questo strato di pietra, la cui sommità raggiungeva il livello del piano terra, si ergevano i pilastri e i muri dell’edificio. A contatto con l’acqua della laguna rimane quindi soltanto lo strato di pietra e non i pali di legno, che sono invece piantati nel terreno: questi, a contatto con l’umidità, non marciscono, ma subiscono un processo di mineralizzazione che addirittura ne accresce la resistenza.

Ho la sensazione che nell’ottica oggi si prediliga lavorare sul tetto prima di verificare la sostanza delle fondamenta. I sistematici attacchi e anatemi che il presidente della Soi lancia alla categoria si rivolgono principalmente agli optometristi, il nuovo, e ai loro presunti abusi professionali. Fermo restando che è mia convinzione che ci potrebbe essere più interesse economico da parte di un medico oculista a “guardare” all’ambito commerciale dell’ottica piuttosto che il contrario, il paradosso che stiamo vivendo ci sta facendo perdere tempo, denaro, risorse e futuro. Ma, soprattutto, ci distoglie dal consolidare le fondamenta della categoria dell’ottico che segnala evidenti cedimenti strutturali. Se l’optometrista in Italia è una specializzazione basilare per il domani della categoria, l’ottico ne è le fondamenta. Si parte da lì. Anche il laureato passa dal via, dall’ottico, come al Monopoly. Gli ottici sono migliaia di pali piantati in una laguna come quella della salute pubblica e negli anni si sono costruiti una riconoscibilità e una riconoscenza da parte della gente che però non è per nulla scontata.

Le esternazioni di Matteo Piovella, che certo non aiutano i giovani oculisti a migliorare la qualità della loro vita professionale, ci stanno creando un diversivo. Chi lo fa esercita uno stratagemma di guerra cinese: far salire il nemico sul tetto e togliere la scala. Se non ripuliamo per bene le fondamenta degli ottici, togliendo i cartelli tipo “controllo gratuito della vista”, se non le rinforziamo mandandoli a scuola a specializzarsi in optometria o ad aggiornarsi sulle nuove tecniche e soluzioni oftalmiche, se non offriamo un’immagine di professionalità moderna ed etica segnalando ogni azione promozionale illecita o furba, possiamo predisporre tutti i pannelli fotovoltaici sul tetto, ma la palafitta ci cadrà, prima o poi, in testa.

L’affermazione del presidente della Soi che l’ottico non è una professione sanitaria e che la risposta del ministero della Salute sarebbe sibillina, mi ha fatto venire in mente un bel libro di Matteo Rampin, edito da Tea, Al gusto di cioccolato, un divertente manuale di autodifesa dalle manipolazioni linguistiche. Quando una bevanda viene definita alla macchinetta “al gusto di cioccolato”, la nostra mente sorvola sulle prime tre paroline e cadiamo su un’astuzia. Noi non gustiamo con la bocca ma con il naso. Ottico e/o optometrista avvisati…
Nicola Di Lernia

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