Grandi superfici o piccoli specialisti: quale futuro per l’ottica?

Un anno fa uscì un report di Kpmg sul retail di domani. È fondamentale ripercorrerne oggi alcuni passaggi essenziali per capire se anche il nostro settore sta andando in quella direzione

Grazie all’accelerazione della tecnologia e della digitalizzazione, nell’ultimo biennio abbiamo fatto passi avanti per compiere i quali altrimenti avremmo impiegato dieci anni. Una fatica che probabilmente pagheremo nella ripartenza di questi giorni, dove tutto sembra uguale e paradossalmente dissimile. L’ottica non sarà estranea a tale rivoluzione, partita dalle difficoltà sul lavoro, dai rincari di luce e gas, dall’inflazione in crescita: pagherà la sua nuova tensione alla modernità, al fare come fanno gli altri senza sapere se è in grado di permetterselo o meno.

Il report di Kpmg sosteneva che “per garantire una crescita e un futuro al proprio marchio, i retailer sono chiamati a operare, nei prossimi mesi, diverse scelte che influenzeranno il loro successo nei prossimi cinque anni e che dovranno andare oltre l'ottimizzazione dei costi. Per prima cosa dovranno decidere se affidarsi a un ecosistema di piattaforme basato sulla logica omnicanale oppure diventare piccoli specialisti di una nicchia”. Possiamo considerare la maggioranza del retail dell’ottica, in particolare quello di superficie contenuta, piccoli specialisti di una nicchia? Possiamo credere che l’ottica di grandi superfici sia invece un ibridismo, ancora non bene definito, di una logica omnicanale, in particolare quella dei discount? Credo di sì. Ce lo confermava lo stesso report della società di consulenza per le imprese, sottolineando che “gli specialisti di categoria, che offrono prodotti e servizi mirati, saranno sempre più un punto di riferimento per i mercati di nicchia. I retailer che fondano il loro successo su una forte identità locale consolideranno la propria base di clienti con programmi di fidelizzazione ad hoc, riemergendo come attori vitali”.

Che grande opportunità per chi ha radici da decenni, fondo di proprietà, gestione familiare rispetto alla catena che arriva come un ufo atterrando su superfici centrali, voluminose e costose, con personale che spesso non conosce il territorio e non sa per quanto tempo si tratterrà. Riusciranno le sinergie industriali ad appianare questi solchi che la pandemia ha inesorabilmente evidenziato? La strategia dei big player di assomigliare agli specialisti è arrivata al capolinea. Occorrono almeno due ali per stare in volo: realizzare veramente l’omnicanalità evolvendo la propria proposta di valore online per sopravvivere in modo redditizio in futuro e il cosiddetto purpose, ovvero perché lo faccio. Sempre Kpmg evidenziava che “chi offre un purpose chiaro, con un impatto significativo sulla vita delle persone, cresce 2,5 volte più velocemente dei marchi che invece si fondano su purpose meno incisivi”. Paradossalmente allo specialista questo riesce, in maniera spontanea. Con tutti i limiti del caso, ma ci riesce anche senza volerlo. Sono le sue radici e i suoi rami immensi che parlano per lui. Per il retail d’ali, di grandi superfici e di innovazioni il nuovo purpose dell’ottica non si è ancora visto. Pericoloso. Come diceva Seneca, “non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”.

Nicola Di Lernia

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