Riconversione: l’ottica starà a guardare?

Marzo è stato ricco di episodi in questo senso a livello industriale. Il virus ha di fatto creato un effetto bellico, e certamente post bellico, che ha già avuto come reazione la fabbricazione di mascherine e camici da parte di aziende dell’abbigliamento. Nonostante tutto, una bella notizia

Pasqua è dietro l’angolo. Un appuntamento cristiano che non lesinerà momenti di riflessione personale e familiare anche sul nostro futuro, in vista della fase due che dovrebbe proiettarci su un minimo di normalità perduta. Il virus ha creato scompensi non solo negli ospedali e nella nostra vita quotidiana ma sta impattando in larga scala anche sul mondo industriale. Tre settimane fa avevo visto nella pandemia le tracce della metafora della Torre di Babele. La diffusione del virus ha travolto in maniera orizzontale la globalizzazione. Ha chiuso prima continenti e poi nazioni, regioni, province confinanti costringendoci alla prima autarchia del terzo millennio. Ci ha proiettato in un ritorno al futuro dove l’acquisto di prossimità ci ha ricondotto ai valori medievali dell’Italia, culla del Rinascimento, fatta di borghi e campanili. Le riconversioni industriali di oggi potrebbero essere ancora frutto del vecchio dna italiano che risponde subito alle tragedie per solidarietà e imprenditorialità.

La lezione del secondo dopoguerra italiano è di buon auspicio in tal senso. La riconversione industriale determinò una forte accelerazione della capacità produttiva e diede un nuovo impulso alla ricerca nel campo dei materiali e delle tecnologie. Gli anni 50, grazie alle necessità della ricostruzione post bellica, segnarono l’inizio del boom economico e dell’espansione dei consumi. Si affermò, in tutti i settori dell’elettrodomestico, la produzione made in Italy: il loro successo fu dovuto principalmente all’inventiva dei nostri imprenditori e alla buona qualità dei prodotti, ma anche al contributo del disegno industriale. Potrebbe essere di buon auspicio ai giorni di una Pasqua ricca di suggestioni probabilmente mai vissute.

Un paletto personale per un obiettivo da raggiungere e da cui ripartire? Il 4 maggio. Il giusto tempo, poco più di tre settimane da oggi, per prepararsi ad affrontare una nuova normalità con cui fare i conti. Le prime due di marzo hanno cambiato lo scenario economico e sociale dell’Italia, costringendoci a casa. Un colpo di scena che neppure il Commissario Montalbano poteva immaginare. Il nostro paese ha veramente nel proprio dna il dramma e il precipizio. Immaginato dal resto del mondo come un immenso teatro lirico dove, citando Lucio Dalla in Caruso, “ogni dramma è un falso”, l’italiano ha doti di sopravvivenza e ingegno nettamente sopra la media. Per questo e altri motivi credo che sarà dura, che bisognerà affrontare la vita e il lavoro centimetro dopo centimetro, ma che ne usciremo più forti e sapremo stupirci di noi stessi.

Immaginiamo anche noi, dell’ottica, di non subire la riconversione ma di esserne protagonisti. Conquistiamo assieme nuovi pubblici, inventandoci ad esempio propositori di occhiali protettivi graduati per chi sente l’esigenza di assicurare non solo la bocca e il naso ma anche gli occhi contro il virus. Suggeriamo l’occhiale anche ai non graduati semplicemente come gesto di prevenzione e non di visione, magari con un tocco di appeal. Convinciamo finalmente il cliente della necessità di un secondo occhiale per non vedere più un grande virologo in tv con l’adesivo sulle astine per l’impossibilità di andare da un ottico. Convinciamo le aziende del comparto ad aiutarci in questa riconversione, offrendoci soluzioni, incentivi, sostegno per far ripartire l’ottica con nuove energie, nuovi entusiasmi e, soprattutto, una nuova dignità. Ce la faremo.

Nicola Di Lernia

Professione