Se Luxottica se ne va

Il lungo fiume carsico che rappresenta simbolicamente il cammino della multinazionale di Agordo è riemerso repentinamente nella decisione di abbandonare, dopo la Confindustria territoriale, anche Anfao. Un’azione dovuta o un processo irreversibile di nuovo corso del fenomeno, appunto carsico, dell’occhiale?

Eccoci a parlare ancora di Luxottica. Stessa strategia. Sia territoriale sia nazionale. Una decisione repentina alla stregua di un atto dovuto. La prima, quella territoriale, per come il gruppo di Leonardo Del Vecchio gestisce già il suo patto sociale con dipendenti che appaiono felici di appartenervi. La seconda, quella di settimana scorsa, come una logica conseguenza della prima. La stessa Anfao ha tenuto a sottolineare che da parte dell’azienda restano saldi impegni commerciali e basici. La storia di questo fiume ci insegna però a non dare nulla di scontato per il futuro. Perché Luxottica non è più italiana. Mi spiego. Lo è nella proprietà, nell’humus che ha portato a una fusione alla pari con Essilor, il gigante dell’oftalmica. Non lo è più nella mentalità, nella velocità, nel time to market, nella visione. Abbandonare la Borsa di Milano per approdare a Parigi è stato un segnale tanto importante quanto quello di lasciare Anfao. Dopo questa decisione la Borsa di Milano non ha chiuso e tantomeno lo farà Anfao, che è degna associazione della Pmi e di altri grandi gruppi dell’ottica e dell’occhialeria, i quali rappresentano la colonna portante del nostro settore, cui tante volte la stessa Luxottica ed Essilor si sono appoggiate.
Ma il mio sentimento, nell’abbandono di Luxottica, è paragonabile a quello che percepii quando un grande amico, il più intelligente, il più dinamico, il più ammirato, lasciò il nostro gruppo di giovani universitari veneziani per andare a studiare a Berlino e poi aprire un’azienda a Londra a trent’anni. Quell’amico allora mi mancò moltissimo. Per le sue idee, le sue provocazioni, per il suo modo di vedere così diverso e affascinante allo stesso tempo. Quell’amico è mancato alla mia crescita personale. Averlo avuto vicino, almeno per altri cinque anni, avrebbe certamente generato in me una diversa formazione imprenditoriale e una visione precoce del mondo che solo dopo molti anni riuscii ad afferrare. Oggi che lo rivedo, nelle nostre poche ma indimenticabili serate lagunari, percepisco il suo amore per ciò che mi circonda, ma anche la sua insofferenza al sistema Italia che lui dal principio ha saltato a piè pari. Certo, il mio amico con le donne che apprezzavano l’intelligenza ci sapeva fare e io più volte sono rimasto a secco a causa sua. Eppure era un compagno-avversario che ti faceva crescere nello stimolo di raggiungerlo e, a volte, superarlo.
Eccoci, di nuovo sdraiati a osservare la rinascenza del fiume carsico, domandandoci dove scomparirà per comparire di nuovo. Luxottica è un’azienda illuminata nel suo patto sociale, nella sua visione di “imprenditorializzare” i propri dipendenti, nei gesti tanto amorevoli quanto ridondanti sulla stampa e sui social del carrello della spesa come benefit ai lavoratori. La multinazionale ha da qualche tempo aperto la propria strada e probabilmente non ha bisogno di altre. Il suo processo di verticalizzazione non coinvolge solo la filiera della produzione fino all’acquisto. Coinvolge il suo rapporto con il mondo. Che cosa possiamo imparare da quanto accaduto e sta accadendo? Molto. Come dice l’esperto di management Michael Porter, “i concorrenti non vanno copiati bensì capiti”. Il centro ottico deve capire il patto sociale di Luxottica per portarne i valori e quindi i benefici nella propria impresa. Le associazioni devono ripensare in anticipo a ciò che resta e che ne sarà del loro associato futuro. Anche Anfao, come me, ha perso un amico importante per la propria crescita personale. Il mio consiglio è tenerlo d’occhio, come feci io allora, per poterlo “capire” a distanza e portare a chi sta qui una ventata di modernità.
Nicola Di Lernia

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