Cade esattamente oggi l’anniversario della scomparsa del Maestro, cui cultura, arte e professioni, ottica compresa, devono molto
“Finalmente venuto vecchio stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, disputando de le cose catoliche, ritornando nella vita buona si ridusse a la fede cristiana con molti pianti. (…) Onde gli venne un parossismo messaggero de la morte, per la qual cosa rizzatosi il re e presoli la testa per aiutarlo e porgerli favore, acciò che il male lo alleggerisse, lo spirito suo, che divinissimo era, conoscendo non potere avere maggiore onore, spirò in braccio a quel re, nella età sua d’anni LXXV”, così racconta il Vasari, nel capitolo delle sue celebri Vite dedicato a Mastro Lionardo di ser Piero da Vinci, le ultime ore del Maestro.
Questa mattina di 500 anni fa era venerdì e nel Maniero di Clos-Lucé Leonardo moriva nell’abbraccio del re di Francia, Francesco I. Poliedrico, eclettico, versatile, inafferrabile e incomprensibile, ma anche estroso, acuto, progettista e ideatore, il genio da Vinci fin dalla adolescenza fiorentina ha coltivato la passione per la cucina e le buone maniere a tavola. Accolto alla corte del Duca di Milano Francesco Sforza nella primavera dell’82, coglie l’occasione delle nozze tra il Gian Galeazzo e Maria Isabella d’Aragona nell’89 per mostrare tutte le sue inarrivabili qualità suggerendo la ricetta del Riso Ducale: “piglia il riso, e allessalo in bono brodo lardiero de ogni carne salvacina e lassarai bollire per lo spatio quanto diresti un Miserere et un Pater, far stiepitire aggiungendovi poi ova sperdute e zaffrano de Grosseto ed imbandirai ponendogli sopra cacio duro grattato e cannella e zuccaro”. A quanti gradissero oggi partecipare al ricevimento di compleanno il Maestro consiglia, per pranzo, un risotto mantecato allo zafferano (detto anche alla milanese o giallo), da accompagnarsi con un sorriso e un brindisi rivolti a occidente.
Sergio Cappa