L’ottica e l’indifferenza

La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano. Così parlava Martin Luther King. Questo vale sia per la sfera personale sia per quella lavorativa. E nel nostro settore si possono intravedere diversi segnali di comoda rassegnazione

Nei giorni scorsi si è svolto l’evento digitale, live e benefico, “Riprendiamoci il futuro”, organizzato per sostenere economicamente e moralmente uno dei tanti centri ottici dell’Emilia Romagna collassati sotto l’acqua e ancora alla ricerca di una ripartenza: con questa testata come media partner, sono intervenuti alcuni attori eccellenti della nostra filiera, che si sono spesi per offrire la propria autorevole idea su cosa ci aspetta domani. Ha partecipato anche Enea Isaj, il proprietario di Mondo Ottica, tra i più colpiti dall’alluvione di metà maggio a Faenza e tra i primi ad aver reagito a un disastro economico di circa 280 mila euro con l’apertura di una sottoscrizione. Mi ha colpito una frase di Enea tra tutte. Quando in negozio lui e sua moglie stavano cercando di salvare gli occhiali e la strumentazione, all’alzarsi del livello dell’acqua, visibile esternamente, hanno deciso che sarebbe stato il caso di salvare prima loro stessi dall’alluvione. L’evento live, nonostante una promozione adeguata, non ha riscosso un’alta adesione, tanto meno le donazioni attese. Da un lato si è potuta riscontrare la generosità individuale di chi ha chiesto di contattare Enea per aiutarlo con un arredo o uno strumento ora inutilizzati. Dall’altro, l’indifferenza al tema dello stesso Enea, preso come esempio di quello che potrebbe capitare anche a noi domattina.

Questo sentimento è comunque presente da tempo nel nostro mondo e il silenzio sulle cose che contano sempre più diffuso. L’ottico optometrista anni fa ha perso l’obbligo degli Ecm senza batter ciglio, sostituendoli con la formazione delle aziende: tanto meglio, ma non è la stessa cosa. Secondo la nuova normativa nazionale mutuata da quella europea, oggi l’ottico non è più fabbricante dell’occhiale che confeziona ma un semplice adattatore: tanto meglio, meno responsabilità, ma quanti rischi questo nasconde? Ci sono sempre meno giovani tra i banchi delle scuole di ottica e optometria e nemmeno in ambito universitario se la passano bene: eppure non si pensa di rivedere l’immagine dell’ottico, il suo personal branding, per stimolare i ragazzi a una professione che fa vivere bene. Lo conferma la continuità dell’attività familiare di molti figli d’arte di ottici degli anni 80: contrariamente a ciò che ha dichiarato recentemente a Cartabianca Flavio Briatore sui figli dei falegnami, nel nostro comparto ci sono ancora molte seconde o terze generazioni.

Tra tutti, comunque, il segnale che preoccupa di più, oltre all’indifferenza, è proprio il silenzio. L’ottica è come una pentola d’acqua messa sul fuoco per cuocere la pasta ma che non bolle mai. Non dà mai un segnale. O se lo dà è perché il problema ha superato il punto di non ritorno. Occorre iniziare a pensare al restyling della figura dell’ottico, non solo a quello dell’ottica.

Nicola Di Lernia

Professione