L’ipotesi degli esperti è che il disturbo, essendo di natura psicosomatica, sia cresciuto a causa degli effetti della recente emergenza sanitaria sul benessere psicologico della popolazione, soprattutto bambini e adolescenti. «Che la pandemia abbia avuto un profondo impatto sulla salute mentale di ampie fasce della popolazione è un fatto ormai noto - si legge in una nota dell’ospedale milanese - Che questo disagio psicologico diffuso abbia iniziato ad assumere la forma di disturbi della capacità visiva è invece qualcosa di nuovo». A ottobre, il mese in cui si accendono i riflettori sulla salute degli occhi, i medici dell’Ospedale San Giuseppe-MultiMedica di Milano richiamano l’attenzione sul fenomeno. In uno studio di prossima pubblicazione evidenziano come i pazienti con “perdita visiva funzionale” o “cecità funzionale”, deficit più o meno grave della vista caratterizzato dall’assenza di alterazioni organiche rilevate dall’esame oculistico, siano più che raddoppiati nel post pandemia.
L’osservazione clinica ha preso in esame e messo a confronto i pazienti transitati dagli ambulatori di oftalmologia dell’Ospedale San Giuseppe in un periodo antecedente la pandemia da Covid, da gennaio a giugno 2019, con quelli seguiti in un intervallo di tempo di analoga durata, da gennaio a giugno 2023. Su un totale di circa 3.600 soggetti visitati in entrambi i periodi, i casi di perdita visiva funzionale sono stati, specifica il comunicato, 144 nel pre-pandemia contro i 326 del post, con un raddoppio dell’incidenza passata dal 4% al 9%. Sia nel primo sia nel secondo periodo, oltre l’80% delle diagnosi riguardava minori.
Se si escludono quei soggetti che fingono intenzionalmente il sintomo, «resta una fetta consistente di pazienti affetti da un disturbo di conversione, una forma di somatizzazione in cui un disagio psicologico viene involontariamente proiettato dal soggetto in un sintomo fisico – spiega nella nota Andrea Lembo, oftalmologo dell’Ospedale San Giuseppe e autore dell’analisi - Nel nostro caso, il disagio si manifesta sotto forma di difficoltà visiva, appannamento, bruciore oculare, cefalea, riduzione del campo visivo e altri disturbi legati alla vista».
La gestione della cecità funzionale richiede innanzitutto un’anamnesi accurata da parte dello specialista, che dev’essere attento nel cogliere l’eventuale incompatibilità tra i sintomi e la quotidianità riferiti dal paziente: ad esempio, dice di non vedere ma gioca a tennis. E deve cercare di arrivare alla diagnosi senza un numero eccessivo di esami strumentali, volti a escludere altre patologie. «Nel caso dei minori il dialogo con il genitore è fondamentale, per arrivare alla diagnosi e risalire al problema che può essere alla base del disturbo di conversione - evidenzia Lembo - In molti ci hanno raccontato che il confinamento dovuto al Covid aveva influito sulla psicologia dei propri figli, limitando la loro capacità di interagire e socializzare con i coetanei».
In secondo luogo, va valutata con attenzione la risposta terapeutica da dare ai pazienti, la quale deve basarsi soprattutto sulla loro rassicurazione: questo non significa sottovalutare quanto riferiscono, «ma aiutarli a individuare strategie efficaci per attenuare i sintomi che lamentano – precisa ancora Lembo - Intendo suggerimenti anche molto semplici, come guardare 30 secondi fuori dalla finestra per non sovraccaricare l’accomodazione dell’occhio in un videoterminalista, o chiudere gli occhi 5 secondi per farli riposare e capire se le immagini della lavagna tornano nitide in un bambino in età scolare». Si può arrivare anche, aggiunge l’oftalmologo milanese, a utilizzare l’effetto placebo, ad esempio prescrivendo occhiali con lenti neutre.
«Pur essendo la nostra una disciplina estremamente specialistica, non può non riflettere i cambiamenti profondi della società - aggiunge nel comunicato Paolo Nucci, senior consultant della University Eye Clinic San Giuseppe e professore ordinario di Oftalmologia presso l’Università degli Studi di Milano - Oltre al dramma che abbiamo vissuto, la pandemia ha prodotto una serie di conseguenze dirette sulla psicologia di tutti noi. E questi strascichi emotivi stanno producendo effetti anche sulla percezione visiva. In più, già da tempo assistiamo all’affermarsi di modelli che, attraverso i social media, impongono messaggi di perfezione surreale in ogni ambito della vita. I giovani rischiano di sentirsi costretti a conformarsi alle aspettative sociali per essere accettati dagli altri, con inevitabili ripercussioni sulla loro salute mentale. Di fronte a questo scenario, possiamo ipotizzare che l’incidenza della cecità funzionale nei prossimi anni continuerà a crescere».
Molti dei pazienti che afferiscono all’Ospedale San Giuseppe di Milano provengono dalla Lombardia, regione colpita per prima dall’ondata epidemica, dove i timori dovuti al dilagare dell’infezione e alle limitazioni imposte alla circolazione sono perdurati e hanno avuto modo di incidere più a lungo sulla popolazione. «Uno dei possibili sviluppi futuri dello studio potrebbe, quindi, essere un’estensione dell’indagine ad altri centri oftalmologici, per valutare eventuali differenze nell’incidenza dei casi di perdita visiva funzionale in regioni colpite in modo diverso dalla pandemia», conclude la nota (immagine tratta da Freepik).
(red.)