Raccontare un’esperienza drammatica non è da tutti, soprattutto se si continua a subirne le conseguenze. Luigi Manconi, docente di Sociologia dei fenomeni politici, parlamentare in tre legislature, editorialista di Repubblica, l’ha fatto nel suo libro La scomparsa dei colori (nella foto, la copertina). Edito da Garzanti, è stato presentato l’8 ottobre al Teatro Parenti di Milano in un incontro dell’autore con la giornalista Daria Bignardi.
Come si può dedurre dal titolo, l’esperienza drammatica riguarda la perdita della vista, non certo un caso di daltonismo. Nel corso di quindici anni Manconi è passato da una forte miopia alla ipovisione, alla cecità parziale, e infine alla completa cecità. I colori del titolo non ci sono più, ma in qualche modo simboleggiano quelle sensazioni che da visive diventano tattili. “La cecità non è nera”, scrive, “è lattiginosa, a tratti caliginosa, talvolta rivela sprazzi perfino luminescenti”. Ma il problema più grave del diventare ciechi è l’immobilità, che non significa solo il non potersi più muovere per gli ostacoli che si incontra o la difficoltà nel rapportarsi con gli altri, ma è l’immobilità mentale, per cui alla perdita della vista “si accompagnano le peripezie della memoria”. Per esempio i volti conosciuti restano uguali dopo anni.
Nello stesso tempo si apre un mondo, quello dei suoni che si percepiscono molto di più. La narrazione è chiara, precisa, la disperazione si avverte, ma è sempre sfumata da umorismo e soprattutto da una costruttiva autoironia. Quella che gli fa scrivere “il problema di buttarmi o no dalla finestra” ma anche “la cecità è un allenamento alla vita”.