Le terre rare dell’ottica

Lunedì scorso, nel Dataroom di Milena Gabanelli sul Corriere della Sera era riportata una dichiarazione di Deng Xiaoping, il padre del neocapitalismo cinese, che può essere illuminante anche per il nostro settore

Nel 1987 Deng Xiaoping affermava: il Medio Oriente ha il petrolio, ma la Cina ha le terre rare. Per noi italiani una terra rara è quella che custodisce il miglior vino o il miglior ambiente di vita. Per i cinesi si parla invece di metalli. Quel paese possiede, infatti, il 90% delle miniere di metalli oggi utilizzati dall’industria tecnologica e quindi indispensabili, come il pane, alla nostra vita quotidiana. I metalli preziosi rappresentano il petrolio della tecnologia che, negli ultimi dieci anni li ha utilizzati come nei trecento precedenti: un consumismo che sta superando quello petrolifero. Se riusciremo a diventare autonomi dalle fonti energetiche russe, non è detto che saremo in grado di fare lo stesso con i metalli rari della Cina. Una sfida nella sfida.

Di fronte a questo scenario appare come una novità il glossario adottato dal neonato governo italiano, in particolare sul tema del made in Italy e della sovranità alimentare e applicato per la prima volta ad alcuni ministeri. Soprattutto quest’ultima ha creato nel nostro paese un allarmismo lessicale poco comprensibile. Lo stesso concetto è utilizzato guarda caso in Francia, dove la cultura alimentare, ma soprattutto il territorio, sono beni da difendere con i denti.

Le nostre terre rare sono la nostra stessa terra e i suoi frutti e non il sottosuolo con i suoi metalli nascosti. Una ricchezza all’aria aperta, che coinvolge anche posizioni estranee alla politica. Come quella di chi tutela la filiera alimentare. Il senso della sovranità, infatti, non deve essere visto come una forma di autarchia, bensì come “il diritto dei popoli a determinare le proprie politiche alimentari senza costrizioni esterne legate a interessi privati e specifici”, secondo quanto dichiarato da Slow Food. Ci ricordiamo le scene di qualche decennio fa, con gli allevatori che spargevano il latte in esubero, secondo le direttive europee, sulle autostrade del Veneto? Un ritorno alla terra e al territorio è quindi un primo segnale che il governo Meloni sta dando, coniando il ministero della Sovranità alimentare, ma anche quello delle Imprese e del Made in Italy.

La sensazione è che tutto il mondo inizi a guardarsi dentro, senza però mettere in dubbio, per il momento, l’importanza della globalizzazione e l’impossibilità di farne a meno. Eppure, qualcosa sta per forza cambiando. Il presidente francese Emmanuel Macron aveva sottolineato tempo fa che l’economia dell’abbondanza aveva terminato il suo ciclo e anche, di conseguenza, l’espansione della globalizzazione. Un difficile equilibrio si sta delineando. Essere “glocal” domani per un paese come l’Italia può significare valorizzare i tesori della casa per i suoi stessi cittadini e contemporaneamente esportarne la competenza e l’esperienza ovunque vengano richieste. Alla luce di tale paradigma, questo vento di cambiamento potrebbe diventare per il nostro paese un trampolino di lancio verso il futuro, una vera resurrezione.

Quali sono le terre rare dell’ottica? Tutt’oggi consistono in giacimenti parzialmente sommersi. Occorre dotarsi di un denominatore comune professionale che integri l’ottico, l’optometrista e il laureato in un unico e potente chip comunicativo. Sulla sovranità della professione non è utile solo delineare un confine pacifico con il medico oculista, ma soprattutto consolidare il territorio dell’ottica e dell’optometria, vecchio e nuovo. Tornare a coltivare il proprio giardino potrebbe essere un segnale di svolta anche per chi ci guarda da fuori.

Nicola Di Lernia

Professione