La nuova scuola di fronte al “dilemma del porcospino”

Con una accelerazione improvvisa impressa dalla pandemia, la vita degli studenti è cambiata, cancellando, ci si augura ancora per poco, la “socialità” delle aule con la solitudine dell’apprendimento online. E anche la didattica, da tempo in fase di mutamento, ha assunto un volto molto diverso dal passato. Ciò comporta benefici ma anche potenziali perdite: tra queste, un impoverimento del linguaggio e dell’espressività verbale, su cui sarà necessario vigilare, poiché i limiti del lessico rispecchiano i limiti della visione del mondo

“Una compagnia di porcospini, in una fredda giornata d’inverno, si strinsero vicini, per proteggersi, col calore reciproco, dal rimanere assiderati. Ben presto, però, sentirono il dolore delle spine reciproche; il dolore li costrinse ad allontanarsi di nuovo l’uno dall’altro. Quando poi il bisogno di scaldarsi li portò di nuovo a stare insieme, si ripeté quell’altro malanno; di modo che venivano sballottati avanti e indietro tra due mali: il freddo e il dolore. Tutto questo durò finché non ebbero trovato una moderata distanza reciproca, che rappresentava per loro la migliore posizione”. Pochi conoscono il Dilemma del porcospino, inserito nella raccolta Parerga e Paralipomena, edita in due volumi a Berlino da Arthur Schopenhauer nel 1851, una raccolta di scritti di filosofia minore che ebbe grande successo. In questa finissima parabola il filosofo tedesco utilizza la figura del porcospino per costruire una metafora sulle relazioni nel genere umano. L’uomo è un animale poco avvezzo alla solitudine e in continuo mutamento, alla perenne ricerca di quel qualcosa che ancora non ha: da sempre cerchiamo di stringere legami forti e duraturi con altri simili ma, proprio quando la vicinanza con l’altro si riduce sensibilmente, ci si espone apertamente alle “spine”. Il dilemma del porcospino è dunque il seguente: qual è la corretta distanza da mantenere nelle relazioni per avere il giusto calore e allo stesso tempo evitare i dolori? In queste settimane post pandemiche siamo sommersi da indicazioni cautelari sul conveniente spazio di movimento da rispettare nelle più diverse situazioni: sereni ma sospettosi, gioviali ma circospetti, fidenti ma vigili, comunque sempre mascherati e sanificati. Qual è l’algoritmo vincente per conciliare doveri e piaceri, obblighi e passioni, impegni e capricci? Una vivace rete di relazioni e una vita socialmente attiva certamente assistono e favoriscono il benessere ma la pandemia ci ha naufragato, solitari e reclusi, in casa per settimane, al cospetto delle ansie e paure amplificate, a volte ad arte, dai media. Come sarà quindi la (nuova) scuola per quei giovani porcospini che, in cerca di calore accademico, dovranno misurarsi con i freddi e angusti spazi dell’architettura datata? Da vecchio insegnante posso solo augurarmi che non si voglia fondere e confondere stabilmente necessità e virtù, camuffando la passionale e sanguigna ora frontale di lezione con l’antalgica e impersonale dissertazione online. La nostra scuola sta, da tempo, cedendo il posto a un'altra e, come sempre è avvenuto nella storia, ci saranno benefici e perdite, e tra questi ci sarà il linguaggio e, poiché i limiti del lessico rispecchiano i limiti della visione del mondo, occorrerà porre seria attenzione al divenire. I nuovi studenti stanno vieppiù commutando la consuetudine alla lettura con il semplice e veloce accesso al web, con la possibilità che tale costume porti a un inaridimento dell’espressività verbale. Diamo certamente il benvenuto al Nuovo Mondo senza però dimenticare l’ideale della lettura del libro, meglio se di carta, che non scivola sulla superficie, ma penetra nelle profondità del pensiero e della memoria. L’orizzonte degli illetterati prossimi venturi rischia di divenire più angusto del nostro e con zone d’ombra anche più estese ma i libri saranno sempre lì, a disposizione di quanti vorranno decifrare il frastuono del mondo, galvanizzando la fantasia. Un buon libro si sposa con tutto, anche con l’ombrellone. Buon tempo ai lettori.

Sergio Cappa

Professione