Italiani, fino a prova contraria

Oggi l’orgoglio nazionale sembra emergere solo se davvero ci conviene

Dalla gioia nel vedere un nostro tennista alzare le braccia al cielo per la prima volta nella storia di Wimbledon siamo passati alle dichiarazioni del ministro dello Sport sul motivo della sua assenza dagli spalti inglesi. Pare che oggi vada di moda il politico dal volto umano: neppure un ministro democristiano della Prima Repubblica avrebbe mai confessato di aver disertato un evento pubblico perché era stanco e aveva bisogno di stare in famiglia. Siamo diventati tutti italiani, ma fino a prova contraria.

Dipende se ci conviene. Così un ministro dello Sport decide che la famiglia è più importante della vittoria a Wimbledon, una nota azienda nazionale dell’abbigliamento di lusso consente, secondo quanto ravvisato dai giudici, che il suo made in Italy si produca sì qui, ma in magazzini irregolari con personale straniero sottopagato e all’insegna del caporalato: un capo fatto da mani sapienti, come direbbe Brunello Cucinelli, ma non italiane, bensì asiatiche.

Poi parliamo di management della gentilezza, della custodia dei valori, della difesa del made in Italy: perché parlare non costa come quel maglione apparentemente italiano, pagato da un turista nel nostro paese anche 3.000 euro a fronte dei circa 100 spesi da chi lo fa fabbricare nel modo sopra descritto.

È fine luglio, fa caldo: dobbiamo proprio discutere di cose serie, sempre che la maggioranza supponga che lo siano? Ebbene sì. Abbiamo davanti a noi un mese in cui potremmo dedicare almeno 10 minuti alla riflessione su cosa si dice e su come lo si fa. Perché la gentilezza, i valori, il rispetto stanno tutti lì. Il resto, come diceva Robert De Niro ne Gli intoccabili, è solo chiacchiere e distintivo. Anche nell'ottica.

Nicola Di Lernia

Professione