Quando si parla di economia di guerra si intende che l’attività economica di un paese è totalmente dedicata alla difesa del proprio territorio a discapito del resto. Quella di Mario Draghi appare più come la raccomandazione di un nonno, come lui stesso si è definito in passato, al nipote che gioca sull’altalena e che rischia pur sempre di cadere. In ogni caso se la pandemia ha ferito la globalizzazione, la guerra in Ucraina le ha dato il colpo di grazia per almeno un decennio. Oggi ai muri si sono sostituite le sanzioni e i congelamenti e nella giostra di azioni e controazioni il cittadino italiano si trova ogni giorno a cambiare idea sul proprio futuro. In questa situazione, benché la nostra economia soffra la crisi dell’energia ma non sia in ginocchio, è il pessimismo che guida quasi un italiano su due. Secondo l’ultimo osservatorio Ipsos, si evidenzia come sul sentimento della speranza oggi stiano prevalendo nel 78% dei nostri concittadini il senso dell’incertezza, rabbia (33%) e disgusto (24%). Quanto possono incidere sulla nostra inclinazione al consumo e agli investimenti?
Se di fronte a bollette e benzina dobbiamo tutti chinare il capo, il rischio sta nell’oblio di decisioni giornaliere oppure nella loro scarsa pianificazione. Quasi un italiano su due è preoccupato dell’incidenza delle sanzioni alla Russia sia sul piano personale sia su quello dei conti pubblici, mentre il 35% teme una possibile guerra estesa anche all’Italia. Di fronte a questo quadro, in apparenza schizofrenico e mutevole, fortunatamente anche in meglio, tutto il retail nazionale sta con il fiato sospeso, nessuno escluso. Nei consumatori di casa nostra è forte il senso della solidarietà e l’incidenza delle sanzioni nella vita quotidiana per due su tre è accettabile per una giusta causa. Ma fino a quando o per quanto? Già otto italiani su dieci, sempre secondo Ipsos, affermano che dobbiamo prepararci a una guerra fredda, forse senza comprenderne del tutto il significato. Probabilmente costoro temono di perdere parte del proprio stile vita e un definitivo mancato ritorno a quella normalità pre Covid di cui molti nutrivano la speranza.
Come possiamo “difendere” l’ottica in questo contesto caotico? All’inizio della pandemia era opportuno definire il nostro come un mercato anticiclico, quello che i tecnici descrivono per l’appunto difensivo, perché tra i meno influenzati dal ciclo economico, dato che offre prodotti e servizi ritenuti indispensabili: sono l’alimentare, il farmaceutico e, perché no, anche il petrolifero gli anticiclici che in momenti di rallentamento sovraperformano. Ma quanto l’ottica e gli ottici si sentono parte di un mercato difensivo e anticiclico in grado di offrire beni e attività indispensabili? Accertiamoci che anche il nostro pubblico la pensi come noi, che stiamo usando le leve e il linguaggio giusti perché la migliore visione venga considerata qualcosa di realmente indispensabile. Dalla risposta e dal consenso nascerà una nuova ottica.