Dalla tempesta sapremo trarre uno spunto per riflettere sul presente?

Nei secoli numerose epidemie hanno segnato il corso della storia, mettendo in moto dinamiche e mutamenti dall’effetto dirompente e, ora, il mondo intero si trova a vivere una nuova epocale emergenza, in cui tutto sembra naufragare. Il Papa, prima della benedizione Urbi et Orbi impartita venerdì scorso in una piazza San Pietro deserta e inondata da una luce livida di pioggia (nella foto, tratta da repubblica.it), ha sottolineato nella sua omelia come tale momento ci abbia colti fragili e disorientati, ma chiamati a remare insieme, bisognosi di confortarci a vicenda. E ha ricordato a tutti, credenti e non, che è giunto il tempo di scegliere “cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”

“Conosco Rodiòn da un anno e mezzo: è cupo, ritroso, fiero, superbo e negli ultimi tempi (e forse da un pezzo) è diventato sospettoso e nevrastenico. È generoso e buono. Non ama manifestare i suoi sentimenti, e sarebbe magari capace d’un atto crudele, piuttosto che rivelare il suo cuore con delle parole. Qualche volta, però, non è nevrastenico affatto, ma semplicemente freddo e insensibile fino a essere disumano”. Fëdor Michajlovič Dostoevskij inizia la pubblicazione, a puntate, di uno dei suoi capolavori, Delitto e Castigo, nel 1866: un monumento letterario che racconta l’organizzazione di un omicidio durante una afosissima estate a San Pietroburgo ma, soprattutto, la desolazione morale, l’avvilimento e l’abbattimento mentale e fisico dell’assassino, che si risolve solo dopo l’incontro con la giovane e povera Sonja, la quale lo spinge al pentimento e alla confessione.

I cupi secoli medievali leggevano il presente quotidiano come un perfetto e immutabile disegno divino, voluto dal Creatore indiscusso e indiscutibile: assente era l’ipotesi della possibile trasformazione. La concezione della Storia era provvidenziale, la verità era già contenuta nelle Scritture e la ribellione era un peccato di superbia che sarebbe stato punito dall’Altissimo: quindi una punizione endemica era intesa come un castigo di Dio che doveva avere una sua spiegazione in un peccato di generale arrogante protervia. Si invocava la protezione di santi, martiri, angeli e patroni promettendo loro austeri comportamenti, devoti e ascetici in cambio della fine della pena.

Tutte o quasi le pandemie dei secoli scorsi sono state generate da zoonosi, il salto di specie fra gli animali e l’uomo, attraverso successive mutazioni genetiche dei virus: polli o suini, anatre o topi, bovini o pulci hanno fatto da conduttori soprattutto in Asia, dove hanno sempre convissuto, a stretto contatto, con l’uomo. Ma quando aggredivano un piccolo villaggio isolato, i virus o i batteri si estinguevano presto, mentre nelle città del Medioevo europeo, sporche e sovrappopolate, diventavano potenti assassini.

Ogni pandemia ha turbato il corso della Storia innescando guerre e migrazioni, eccidi e persecuzioni, tumulti e rivolte, rivolgimenti demografici, crisi della produzione e dei consumi. Questi giorni di forzata reclusione sono stati certamente segnati, come pietra miliare, dalla mordente suggestione dell’esortazione liturgica del Pontefice venerdì scorso, nel grembo fiabesco e reso argentato dalla pioggia della piazza del Bernini, tra lo sguardo flautato della Salus Populi e gli occhi sacrali del Cristo di San Marcello. Nel silenzio, frantumato dalle campane che annunciavano la vita e dalle sirene delle ambulanze che singhiozzavano il (nostro) dolore, Papa Francesco ha dispensato una poetica e balsamica emozione a chiunque, pungolando le nostre energie migliori per conferire solidità, sostegno e significato a questi giorni in cui tutto sembra naufragare, come nella tempesta richiamata nell’omelia del Pontefice. La lirica esortazione è stata rivolta Urbi et Orbi, ai credenti ortodossi, fedeli osservanti della dottrina e disciplinati praticanti del Parola, ai non credenti, agnostici scettici per arido conformismo o convinti per dotta ricerca, e anche ai professionisti della polemica e/o politici di fila che si giovano, come avvelenati saprofiti, di qualunque figurato acquarello per guadagnarsi il palcoscenico. È nutriente pensare che tutti si concedano, su quelle parole, una riflessione positiva e sincera sul nostro tormentato presente. Auguriamoci che ciò accada.

Sergio Cappa

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