In seguito a quanto emerso all’ultimo convegno Aloeo e alla luce del dibattito in corso per una riforma del profilo dell’optometrista, laureato e non, il presidente di Federottica è intervenuto con una lettera aperta e con ulteriori precisazioni al nostro quotidiano
«Il metaforico canto delle sirene di Paesi lontani, lo sviluppo tecnologico, il citato desiderio di crescita sono solo alcuni dei motivi che spinsero una certa parte di colleghi ottici a impegnarsi in progetti formativi tutt’altro che obbligatori e tutt’altro che appaganti da un punto di vista formale: “questo corso non serve a nulla se cercate dei titoli, ma è fondamentale per lo sviluppo della vostra futura attività”, ebbe modo di dire Vasco Ronchi a un gruppo di studenti che si accingevano a proseguire il proprio iter formativo in optometria dopo aver ottenuto l’abilitazione all’arte sanitaria di ottico – ha recentemente scritto Andrea Afragoli (nella foto) su federottica.org - Eppure la formazione optometrica, logico prosieguo di quella in ottica, fu la scelta di molti fra giovani e meno giovani colleghi nel corso di svariati decenni, per puro piacere di conoscenza». Tutto questo è utile a ricordare che «senza il contributo di queste figure, alcune delle quali hanno poi anche formato un certo numero di laureati come docenti delle materie professionalizzanti, non ci sarebbe mai stato un corso di laurea in Ottica e Optometria nel nostro Paese ma, soprattutto, che l’optometria italiana ha un respiro ben più lungo di quello datole dall’università e dal corso di laurea, che è stato fortemente voluto, altrettanto apprezzato ma, inevitabilmente, è l’ultimo arrivato in termini strettamente cronologici», aggiunge il numero uno di Federottica, che si pone alcune domande. «Perché negli anni 70 dello scorso secolo e poi a seguire fino a oggi qualunque fosse il percorso formativo scelto ci sentivamo tutti colleghi e oggi, invece, si fanno tanti distinguo? Perché si è generata, specialmente in alcuni atenei, una spaccatura profonda fra laureati e non laureati? Perché troppo spesso non si palesa, come sarebbe logico ritenere, una crescita formativa post laurea, attraverso la partecipazione a congressi o corsi? Perché, viene da pensare, c’era più fermento negli anni 80, 90, con percorsi formativi certamente ben strutturati ma, appunto, non universitari che adesso? Non vedo che due risposte: o si tratta di un problema generazionale, e allora c’è ben poco da fare se non cercare di stimolare infaticabilmente, oppure c’è un conflitto fra le aspettative e ciò che poi il mondo del lavoro offre. Anche in questo eventuale caso, di chi sarebbero le responsabilità? Non forse di chi ha tratteggiato ipotetici scenari professionali esistenti, nel nostro Paese, per ben pochi fortunati?», sottolinea ancora Afragoli.
Per il presidente di Federottica, alla luce dell’iter in corso presso i ministeri di riferimento, «dobbiamo tirare tutti la volata ai laureati della classe L30, perché forse dopo cinquant’anni si potrà ottenere quello che ci aspettavamo – spiega a b2eyes TODAY - Un minuto dopo, però, bisognerà lavorare sull’equivalenza, che è sempre esistita per tutte le altre professioni di area sanitaria, dall’infermiere all’ortottista o al fisioterapista, ad esempio, secondo la legge 42/99. Nel nostro caso, tuttavia, non è sufficiente il titolo di ottico a stabilire che uno è anche optometrista, ecco perché abbiamo introdotto il Registro del Tiopto che fotografa la situazione esistente: quelli che possono essere ritenuti paritetici dovranno transitare nel contenitore dell’L30».
L’obiettivo di Federottica è conciliare queste tre anime che convivono nella categoria e all’interno dell’associazione: laureati, optometristi e ottici. «Se le sentenze di Cassazione, che da decenni ormai blindano l’operare di chi può in qualche modo definirsi optometrista, non saranno sostituite da un Decreto che possa garantire equivalenza di funzioni, lotteremo con tutte le forze perché possano rimanere in statu quo ante», conclude Afragoli su federottica.org.
A.M.