«Sono giorni che mi pongo la domanda e sono giorni che non trovo una risposta, forse proprio perché un simile comportamento non avrebbe senso alcuno! Esporrebbe il fabbricante a inutili rischi senza che si possa intravedere alcun vantaggio pratico: non ha davvero senso – scrive su federottica.org Andrea Afragoli (nella foto) - Prima di addentrarci un poco nella materia, spiegando cosa sia il marchio CE e al termine di quale processo possa essere apposto, mi sorge però un dubbio, magari errato, ma che desidero togliermi subito: non è che per caso qualcuno ha equivocato il significato della marcatura pensando che per prodotti CE si intendano quelli fabbricati nell’Unione Europea? Questo potrebbe spiegare il ragionamento circa la marcatura non conforme: poiché sono fatti in Cina il marchio è China Export, simile ma non identico, però intanto imbroglio gli acquirenti facendogli pensare che il luogo di produzione sia diverso. Se questo è il ragionamento (ma mi auguro non sia così), sgombriamo subito il campo dall’equivoco: l’apposizione del marchio CE è conseguente al rispetto degli standard produttivi (in particolare in merito alla sicurezza e salute dei dispositivi) imposti dall’Unione Europea, ma non ha nulla a che fare con il Paese o il Continente di produzione».
«Avendo frequentato per qualche tempo come rappresentante di Federottica il Comitato Tecnico di Anfao, posso testimoniare personalmente quanto l’apposizione della marcatura CE sia, al di là degli aspetti formali, davvero l’ultimo dei problemi che investono i Produttori che devono districarsi in un dedalo di vincoli e adempimenti burocratici che la tutela del consumatore impone loro. Basta ricordare, una fra tante, l’annosa questione del nichel e della sua presenza nelle leghe metalliche impiegate in occhialeria, quindi i test sul rilascio, le prove di biocompatibilità e tanto altro. Questo, sia chiaro, non ha nulla a che vedere con la qualità percepita del prodotto, perché nessuna norma definisce (ad esempio) come debba essere realizzata una cerniera flessibile per durare a lungo, ma ha a che fare moltissimo con quella qualità che si trova in stretto contatto con la citata sicurezza – prosegue sul sito web dell’associazione il presidente nazionale di Federottica - Cosa può essere avvenuto, quindi? Ragionevolmente, che alcune marcature non siano state fatte “a norma”. Che ci sia stata disattenzione o incuria, a volte almeno parzialmente giustificata dalle ridotte dimensioni delle aste o dalla curvatura delle stesse. Se di peccato si tratta, quindi, è certamente peccato veniale che andava probabilmente affrontato con modalità diverse dal caso sbattuto in televisione e in prima serata a tutto discapito di un’intera categoria».
A b2eyes.com Afragoli ricorda quello che, a parere suo e di molti professionisti, rimane un punto delicato nel rapporto con i fornitori di montature. «Recentemente diversi colleghi hanno richiesto, ma nessuna azienda lo fornisce di buon grado ai centri ottici, il fascicolo tecnico, quello che lo stesso direttore generale di Anfao, Astrid Galimberti, ha definito sul vostro portale come la “carta d’identità del prodotto ottico – sottolinea Afragoli – E la cosa è del tutto comprensibile, perché ha a che fare con la proprietà intellettuale sul progetto. Però, di fronte a situazioni particolari, come, ad esempio, allergie a metalli o altri materiali, l’ottico optometrista può e deve far richiesta di specifiche informazioni e l’impresa fornitrice è tenuta a fornire esaustiva documentazione, ai fini della salvaguardia della salute e del benessere dell’utente finale, dei quali lo stesso ottico optometrista “fabbricante di dispositivo su misura” è responsabile. Questi sono i temi importanti e di spessore, una buona conoscenza delle problematiche di sicurezza connesse ai dispositivi medici, altro che le marcature (apparentemente) taroccate sugli occhiali».
(red.)