Brexit: l’eyewear non si mostra preoccupato

Venerdì 31 gennaio a mezzanotte, alle ventitré in Gran Bretagna, il B-day è infine arrivato, a distanza di oltre tre anni e mezzo dal referendum del giugno 2016 che aveva sancito la vittoria del Leave, dopo l’approvazione definitiva dell’accordo di recesso da parte del Parlamento Europeo

Se la data ufficiale è questa, l’impatto inizierà però a sentirsi davvero l’anno prossimo: sino al 31 dicembre 2020, infatti, è previsto un periodo di transizione durante il quale restano in vigore le regole attuali sul mercato unico, le dogane condivise, la libertà di movimento delle persone e delle merci. Sarà quindi il negoziato che seguirà nei prossimi undici mesi a disegnare le relazioni future tra i 27 paesi dell’Unione Europea e UK, inclusi i rapporti commerciali bilaterali. Su questo fronte c’è sul tappeto un’ipotesi “zero tariffe, zero quote”, che secondo quanto sottolineato dalla presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, rappresenterebbe un’eccezione poiché non vi sono altri paesi al mondo che godano dell’accesso al mercato unico a tali condizioni. Quel che è certo, come sottolineano le principali testate finanziarie, è che l’impatto sull’economia sarà forte e le imprese, soprattutto quelle che esportano nel paese, al di là degli esiti del negoziato, dovranno affrontare una serie di problematiche. Secondo quanto affermato da Il Sole 24 Ore sulla scorta dei dati di un’indagine Pwc Tls, uno dei principali studi italiani di consulenza legale e tributaria, realizzata nei giorni scorsi tra circa 180 società clienti, la Brexit avrà un costo fiscale ed economico. «Nove aziende su dieci dovranno affrontare almeno una tematica fiscale, sette su dieci avranno bisogno di modifiche operative, più del 55% sosterrà spese aggiuntive per adeguarsi alla normativa doganale - si legge sul quotidiano di Confindustria - Soprattutto l’area doganale suscita preoccupazione: i costi aggiuntivi saranno dovuti all’eventuale compliance, per formare il proprio personale su tematiche di commercio estero, per reperire i dati necessari e gestirli nei sistemi informatici aziendali, eccetera».

Per quanto riguarda l’export italiano, nel 2018 il Regno Unito era il suo quarto mercato di destinazione, il quinto secondo le rilevazioni provvisorie da gennaio a settembre 2019 dell’Osservatorio Economico del Mise elaborate su dati Istat. Per ciò che concerne le esportazioni di occhiali, quello britannico non risulta oggi uno dei mercati di riferimento e nemmeno tra i più brillanti: nei primi 9 mesi dello scorso anno ha fatto segnare un calo dell’8,4% in valore rispetto allo stesso periodo del 2018, complice proprio «l’incertezza complessiva creata dalla Brexit», si legge in una nota di Anfao. Tant’è che le aziende italiane dell’eyewear non sembrano mostrare particolare preoccupazione, anche alla luce del fatto che le associazioni e le istituzioni si sono mosse per tempo per adottare le dovute misure.

Circa l’impatto che l’addio definitivo dell’UK potrebbe avere sul settore e in particolare sulla manifestazione fieristica, abbiamo chiesto un commento a 100% Optical, la cui settima edizione si è appena conclusa, quasi in concomitanza con la ufficializzazione della Brexit. «A oggi non sappiamo ancora come funzionerà il commercio tra il Regno Unito e l'Europa - afferma a b2eyes TODAY Nathan Garnett, direttore del salone londinese - L’opinione diffusa dei nostri visitatori era, perciò, che il business fosse lo stesso di sempre. Se l'anno scorso ci ha insegnato qualcosa, è stato che l'attesa nuoce a tutti noi. A giudicare dal passaparola attorno all'evento e dagli ordini scritti, per ora l'industria non sta permettendo a nulla di rallentarla o di ritardare i processi decisionali. Abbiamo un crescente interesse da parte delle aziende al di fuori dell'Unione Europea che desiderano vendere nel Regno Unito. Per ora il business è quello di sempre».

(red.)

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