“L’architettura del volto” per la mostra di Mario Ermoli non è un titolo a effetto. Racconta il suo modo di concepire il ritratto e il suo passaggio dalla fotografia di architetture per riviste del settore, per cui gli commissionavano portrait di designer e architetti, alla successiva specializzazione in questo genere di fotografia. Tutti i grandi nomi dell’architettura sono passati dal suo obiettivo, ai quali poi si sono aggiunti altri personaggi. «L’unico modo di realizzare un buon ritratto, scrive Ermoli, è eliminare l’immagine che il soggetto ha di sé». Così «lo scatto coglie qualcosa di inaspettato e più profondo». Dalle espressioni che riesce a catturare si intuisce la capacità di Ermoli di stabilire un rapporto con i soggetti immortalati. Alcuni sono in primo piano, o in piano americano, altri nel loro studio, alcuni in un contesto anonimo, alcuni sorridono quasi in posa, altri sono seri e sembrano non accorgersi di essere fotografati. Molti guardano fisso l’obiettivo, altri nascondono lo sguardo dietro agli occhiali.
Svariati i modelli di occhiali e il modo di portarli. In corno quelli di Michele De Lucchi, metallici con lenti fumé quelli di Alessandro Mendini. Spessi, classici quelli di Angelo Mangiarotti, che sembra non sapere di essere fotografato (nella foto, sopra, a destra). Grandi quelli del regista Silvio Soldini, pensieroso (nella foto, sopra, a sinistra). Tondi, che contribuiscono alla simpatia del viso, quelli di Peter Cook, mitico architetto e docente inglese (nella foto principale). Neri, piccoli gli occhiali di Wim Wenders che risalta in mezzo al bianco. Non li indossa, ma li tiene sulla testa Kazuyo Sejima, l’architetto giapponese che ha progettato il Campus Bocconi di Milano, una delle pochissime donne della mostra.