LA METROPOLITANA DA KIEV A MOSCA

Mentre nelle stazioni sotterranee gli ucraini si proteggono dai bombardamenti e fanno i conti con l’immane tragedia che li sta colpendo (nella foto, tratta da adnkronos.com), i russi sono in fila ai tornelli perché i sistemi di pagamento elettronico non funzionano più per via delle sanzioni: due punti di vista completamente diversi, che però avranno ripercussioni anche sul resto d’Europa e, forse, anche sul nostro settore

Corriere.it riporta che “almeno il 29% dei russi utilizza Google Pay e il 20% Apple Pay”. Una digitalizzazione dei sistemi di pagamento, e non solo, probabilmente sfuggita al Governo russo, che sta provando a riportarci ottant’anni indietro nella storia ma soprattutto nelle nostre vite. Le immagini che arrivavano nei primi giorni di guerra dall’Ucraina sono quelle di persone molto vicine a noi europei e italiani. Giovani che indossano vestiti e accessori secondo il nostro stile, in grado di parlare l’inglese quanto e meglio di noi. C’è voluto un evento bellico per sentirci affini a un popolo che conoscevamo poco. Eppure siamo il primo paese in Europa per presenza di quella popolazione. Secondo i dati elaborati dalla Fondazione Leone Moressa per Domina, l’associazione nazionale famiglie datori di lavoro domestico, gli ucraini in Italia sono 236 mila e rappresentano il 5% degli stranieri nel nostro paese. Al loro arrivo si sono concentrati soprattutto nella provincia di Napoli, per poi espandersi a Roma e Milano e, infine, anche in Veneto ed Emilia. Oggi il 23% degli ucraini risiede in Lombardia, il 17,4% in Campania e il 14,1% in Emilia. Se consideriamo l’incidenza sul totale degli stranieri residenti, la comunità in Campania è decisamente rilevante: in questa regione il 16,5% degli stranieri ha la cittadinanza ucraina.

L’Ucraina in Italia è principalmente declinata al femminile: 8 su 10 sono donne, 6 su 10 badanti o colf. La loro presenza negli ultimi dieci anni è raddoppiata e molti dei figli dei primi immigrati studiano nelle scuole nazionali. Anch’io ho amici di quel paese e sto vivendo questi giorni attraverso i loro racconti come mai ho vissuto le pagine di guerra degli ultimi anni.

Dopo la pandemia, che aveva incrinato il processo di globalizzazione e la nostra normalità, ci troviamo di fronte a una precarietà ancora più grande. Quella della sicurezza e della libertà. Dopo la resilienza ci aspetta il senso della fragilità. Certo, abbiamo vissuto questi due anni rafforzandoci ed escogitando situazioni proprio di anti-fragilità per proteggere la nostra famiglia e il nostro lavoro. Riconversioni industriali, servizi innovativi ci avevano aiutato a superare le precarietà. Oggi c’è una nuova sfida e probabilmente un nuovo scenario che compromette del tutto il desiderio di ritorno alla normalità dei primi giorni del 2020.

In passato aiutammo popolazioni che arrivavano in Italia dalle guerre e che trovavano qui un punto di partenza verso altre mete europee ed extraeuropee. Oggi ci dobbiamo preparare. Probabilmente ad accogliere un numero pari a quello attuale di ucraini, principalmente donne e bambini, fuggiti dalla guerra, che chiedono al nostro paese la solidarietà dimostrata a chi li ha preceduti. In questo caso non basterà solo alloggiarli e sfamarli. Servirà integrarli. Non sarà sufficiente dare un pesce. Occorrerà insegnare a pescare. Anche nell’ottica si potrebbe pensare a garantire un aiuto immediato ma anche in prospettiva a chi busserà alle nostre porte. Se il nostro settore in passato era poco appetibile per ragazzi che non fossero figli d’arte, in futuro potremmo formare giovani che possono ancora sentire l’orgoglio di questa professione. A dispetto di una certa pubblicità o di una politica troppo commerciale, che rischia di portarla al livello mass market, sgualcendo il ruolo sociale dei nostri camici.

Nicola Di Lernia

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