Safilo, verso la chiusura di Longarone?

I conti del gruppo sono in miglioramento, ma l’impianto bellunese, pur già coinvolto in una ristrutturazione nel 2019, non è più considerato strategico, vista l’evoluzione del portafoglio prodotti: l’azienda ha quindi dato incarico di esplorare al management soluzioni alternative per questo stabilimento che oggi impiega 472 dipendenti

Pur in un contesto di crescita del gruppo, come registrato dai dati preliminari del 2022 diffusi nei giorni scorsi, Safilo ha messo nero su bianco l’intenzione di chiudere lo stabilimento di Longarone (nella foto), “salvato”, seppur dimezzato nel numero di dipendenti, in occasione della riorganizzazione avviata poco più di tre anni fa, che aveva portato alla chiusura del sito di Martignacco, in provincia di Udine. Era stato di seguito oggetto di una ristrutturazione che sembrava avergli offerto una nuova possibilità, puntando tutto sulla produzione in metallo.

Ora la notizia. «Le preoccupazioni c’erano e abbiamo chiesto rassicurazioni per lo stabilimento di Longarone mesi fa, anche in Regione Veneto: ma, naturalmente, prima si manda il comunicato agli azionisti e poi sindacati e lavoratori si devono adeguare ai provvedimenti - dice a b2eyes TODAY Denise Casanova, segretaria generale Filctem Cgil di Belluno - Dal canto nostro faremo tutta la mobilitazione possibile, cercando di coinvolgere l’intero territorio per evitare la chiusura». Mobilitazione che è già cominciata con un primo sciopero venerdì 27 gennaio, proseguirà mercoledì 1° febbraio con l’incontro dei coordinatori sindacali degli stabilimenti Safilo, in vista del meeting con il management aziendale previsto per il 22 febbraio.

Casanova sottolinea, inoltre, come i vertici della società avessero presentato la ristrutturazione di Longarone come un rilancio del sito produttivo. «Così non è stato, non è un’azienda credibile: se vogliono vendere Longarone che cambino nome perché Safilo è acronimo di Società azionaria fabbrica italiana lavorazione occhiali, dunque la produzione non va spostata - sottolinea Casanova - Preciso inoltre che tale struttura è stata costruita con i finanziamenti del Vajont, stanziati per dare uno slancio a un territorio in ginocchio dopo la tragedia che ha ucciso quasi duemila persone sessant’anni fa. Questo non va dimenticato».

Anche su una possibile dislocazione della produzione Casanova è dura. «Ci hanno comunicato che Longarone non è più strategica, ma, facendo i conti, Safilo ha ricevuto da Kering l’incarico di realizzare un milione e 900 mila pezzi, gli stessi dell'accordo stipulato tre anni fa - precisa - Non è quindi previsto un calo della produzione: il sospetto è dunque che l’intenzione sia di spostare la produzione in Cina per incrementare i guadagni. A confermare questo mancato interesse l’affermazione da parte dei vertici, in una precedente riunione ordinaria, che la produzione in Italia di Safilo incide su quella totale soltanto del 4%».

Casanova ripone la propria fiducia nella Regione Veneto, che «deve mobilitarsi per non perdere un pezzo di storia del nostro territorio - conclude - Il ministero dello Sviluppo economico ha anche cambiato nome aggiungendo “imprese e made in Italy”, quindi ci attendiamo maggiore attenzione anche da parte delle istituzioni, come lo merita anche l’approvazione della legge sulle delocalizzazioni: non possiamo continuare a usare ammortizzatori sociali, che sono soldi della collettività, per aziende che, come nel caso di Safilo, registrano utili, generando un danno alla collettività stessa».

F.T.

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