Il virus, la Torre di Babele del mondo contemporaneo

Gli uomini si erano uniti per costruire una torre tanto alta da raggiungere il cielo e Dio bloccò questo progetto insano dando a ciascuno una lingua diversa per parlare con gli altri. Babele è così diventato sinonimo di confusione. Il Covid-19 oggi sta facendo questo, sta rimescolando fatalmente le carte della normalità di ieri. Della nostra vita e del nostro lavoro

Come sarà il mondo dopo aver conosciuto un nuovo nemico in grado di modificare i nostri piani per il futuro? Ho subito pensato al declino del concetto della globalizzazione o quantomeno al suo valore. La velocità di movimento delle persone e delle merci ha contraddistinto gli ultimi vent’anni con grandi successi e altrettante perplessità. Oggi il virus, oltre a metterci in quarantena, ci introdurrà, quando ne usciremo, in una fase di autarchia prima legata alla salute e poi dovuta alle nuove relazioni internazionali che si andranno a creare passato il pericolo. In questa autarchia, che potrebbe durare per tutto il 2020, ogni paese europeo ritornerà per gli eventi ancora realizzabili alla vecchia dicitura del nazionale, delegando alla rete le possibili testimonianze oltre confine. Superate la paura e la sfiducia le barriere si abbasseranno, anche quelle del turismo per intenderci, e allora lì andremo finalmente a scoprire chi c’è ancora dietro l’angolo e chi se ne è andato.

Secondo il filosofo veneziano Massimo Cacciari l’Europa tornerà a essere una espressione economica priva di un progetto comune e quindi mutilata dei propri principi. L’Inghilterra sposerà definitivamente il mondo anglosassone, tanto che la nuova residenza canadese del principe Harry sembra un presagio di quando accadrà. Cacciari vede nella Cina il miglior amico dell’Italia post crisi. Non è solo il numero dei contagi che ci accomuna in questo momento e che probabilmente rappresenta lo specchio razionale e un po’ sfortunato dei rapporti economici e culturali tra i due paesi. L’Italia è sempre stata la culla del Mediterraneo, incrocio di culture e scambio di eccellenze. Il fatto che Marco Polo nel 1200 sia andato verso est raggiungendo la Cina e non verso ovest o nord la dice lunga. La “amica” Europa sembra che veda oggi l’Italia come progenitrice di una cultura mediterranea tanto gradevole quanto superata e sul viale del tramonto. Se il virus sarà veramente la Babele del 2020, nulla apparirà impossibile e tutto si potrà trasformare in quello che non immaginavamo.

La nostra piccola ottica, di fronte a questi stravolgimenti, riuscirà ad appendersi al solito lampione e aspettare tempi migliori per ridiscendere? Credo di no. Per via dell’ambiguità che il settore ha espresso fino a oggi. Totò avrebbe detto: siamo uomini o caporali? Che si può parafrasare: serviamo clienti oppure occhiali? Il decreto del governo ci mette dalla parte di chi è indispensabile e quindi aperto al pubblico del virus, perché fa occhiali e li aggiusta. Le recenti esternazioni con video messaggi del presidente della Soi contro la categoria ottica prendono spunto anche da questa asserzione. Aggiustate gli occhiali e lasciate perdere la parola sanità. Una dura lezione perché detta così potrebbe avere anche un filo logico, sebbene di parte. Così se l’ottica resta aperta, se chiude o se si rende disponibile per le sole emergenze rinnova ancora la propria difficoltà cronica a essere qualcosa di unico, unito, comprensibile al mondo.

Pur rispettando la scelta di tutti e in osservanza alle regole di cautela di questi giorni, la nuova normalità post virus deve essere più chiara e definita. Mi sembra finita, ad esempio, l’epoca della promiscuità tra optometria e vendita: ognuno dovrà avere i propri spazi ben definiti con ambienti molto diversi tra loro. Vedo in declino il free service che dura già da quasi trent’anni. Sarà difficile che il consumatore accetti ancora di provare occhiali liberi da controlli. La gente non si fiderà più solo di un nome commerciale, seppure conosciuto sulla piazza, ma sceglierà soprattutto il professionista che le fornisce il servizio. Inizierà l’era della comunicazione sociale dedicata esclusivamente a temi di pubblica utilità per la vista, svincolata da quella commerciale che prenderà la propria strada senza contaminare la prima. Sono le mie prime riflessioni, ancora dietro un vetro, quello di casa. Eppure, se ciò che non ci spezza ci rafforza, questo grande uragano potrà mostrare a molti di noi che la strada giusta per il poi è quella più difficile. Come succede spesso nella vita. (Nella foto, la Torre di Babele, Ignoto fiammingo del XVI secolo)

Nicola Di Lernia

 

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