L’ottica si scoprirà “sanitaria”?

Dal 4 maggio si presume che inizi, dopo la lunga quarantena, una prima uscita dei consumatori verso i luoghi abituali di visita e di acquisto, tra cui anche l’ottico. Che si sta preparando su un campo nel quale si cimenterà seriamente per la prima volta

Diecimila centri ottici in Italia sono tanti. Forse, a forza di dirlo, sono calati negli anni fino alla soglia dei novemila, tra nuove aperture di catene e chiusura di piccoli arrivati alla pensione. Nessuno si è però posto il problema di censire la qualità di questi centri, la loro modernità, la loro propensione all’igiene sanitaria. In anni passati, quando aprivo più di una porta in località diverse dell’Italia, rimanevo stupito da due o tre atteggiamenti che purtroppo restano in molti casi ancora validi. I camici bianchi erano tutt’altro che profumati. I cartoni dei corrieri stazionavano nella zona di attesa del cliente con una ostentata indifferenza. Le sale di refrazione non erano trascurate ma simboleggiavano il “cul-de-sac” del negozio. Del bagno non ne parliamo. La diatriba con camice o senza camice, stile Ronaldo o Messi, riempiva le bocche di molti, mentre la media igienico-sanitaria del punto vendita era nella maggior parte dei casi sotto la sufficienza.

Oggi cambia tutto. Da alcuni giorni compaiono numerosi slogan di protezione reciproca tra ottico e cliente, che mi auguro trovino seguito nel trattamento che quest’ultimo deve ricevere dal centro ottico. Alcuni si sono mossi in tempo, dato il destocking immediato di questi prodotti, acquistando strumenti di purificazione dell’aria attraverso l’ozono e pratici “fornelli” con livelli di disinfezione molto elevati. Ancora pochi, invece, stanno lavorando su protocolli di accoglienza del cliente nei tanti passaggi che l’ottica necessita quando si controlla e si vende una montatura. A conti fatti queste iniziative, che tutte insieme hanno un costo pari a un ventesimo di un macchinario refrattivo, potevano essere prese anche molto prima. Come le aperture differite degli uffici, lo smart working, la riduzione delle fasce di punta. Ci troviamo a dirci cose ovvie nel momento peggiore. Siamo la società più evoluta in fatto di alfabetizzazione, ma solo un virus maledetto ci ha fatto riflettere sulla cosa più importante della vita: viverla al meglio.

L’ottica si può quindi riscoprire un po’ più “sanitaria” rispetto al passato? C’è da augurarselo. Se rivalutiamo il valore salutistico del nostro lavoro, lo mettiamo in primo piano, buttiamo fuori dal negozio tutti gli slogan che hanno a che fare con il benessere visivo ormai ridotto a una palla sgonfia e inutilizzabile, allora forse ci ritroveremo diversi e più utili al consumatore nato dall’epidemia. L’ottica deve riscoprire la sua parte “sanitaria” senza fare il dottore, aiutare il cliente in questo momento complesso ad apprezzare la voglia di vederci meglio, di sentirsi protetto su questo versante, di trovare un ambiente adatto a tale scopo. Solo così l’ottica può far parte della fetta vincente del prossimo mercato. Quella anticiclica, quella che regge meglio di tutte l’urto di una crisi perché utile e necessaria al pubblico. Come il lievito di birra.

Nicola Di Lernia

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