Eyewear, quando uno più uno non fa due

I risultati dell’export di occhiali nel primo trimestre 2023, presentati a Verona all’ultima assemblea Anfao, sono soddisfacenti e indicano all’industria italiana un percorso ancora lungo e prolifico nonostante il clima internazionale e il mercato interno che non brilla

Il settore nazionale dell’eyewear ha una sua particolarità. Vive, pensa e crea in un territorio che ha dato i natali agli occhiali, ma di fatto produce quasi al 90% per il mondo. Tra i mercati in crescita, l’Europa in primis, l’America e l’Asia. Ci amano i francesi, nonostante tutto, e iniziano ad amarci gli spagnoli. I tedeschi naturalmente ci sono sempre, come potrebbero non esserci. Gli Stati Uniti si confermano il principale mercato: lì le montature da vista hanno fatto registrare +35,7% rispetto allo stesso periodo del 2022. Di fronte a questi numeri e tendenze di crescita la nostra piccola Italia appare sempre più stretta per chi produce. L’industria dell’occhialeria è sì attenta al mercato interno, ma forse si tratta più di affetto, test della collezione, sbocco naturale. Nel comunicato stampa di Anfao post assemblea generale ci sono infatti solo i dati dell’export. Se considerate che lo scorso anno la produzione complessiva è stata di 5,08 miliardi di euro e che il primo trimestre 2023 registra già quasi 1,4 miliardi di export, bastano due conti per comprendere che i clienti del nostro paese risultano pressoché irrilevanti.

Storicamente, a parte pochissime occasioni, i giornalisti non possono presenziare alla parte pubblica dell’assemblea di Anfao. Tuttavia ci risulta che il mercato interno della montatura non avrebbe ancora recuperato le cifre del pre-pandemia, mentre per l’oftalmica il sorpasso sarebbe già avvenuto. Tornando alle esportazioni, dei quasi 1,4 miliardi di euro realizzati nel primo trimestre 2023, il sole l’ha fatta da padrone con una quota intorno al 70%: un segno di attenzione allo stile italiano e alla capacità di creare ancora un ottimo prodotto. Non per essere eccessivamente ottimisti, ma se l’industria italiana dell’eyewear mantiene la sua qualità manufatturiera e il suo ingegno, non ci sono rivali nella corsa. Il sell out del nostro paese, invece, resta il mistero. L’ottica si difende con il cambio lenti: l’operazione secondo equipaggiamento, che il punto vendita propone al cliente con l’aiuto dell’industria oftalmica, è una volta su due soltanto cambio lenti e non un secondo occhiale completo.

L’italiano è così affezionato alle sue astine erose dal tempo? Alle sue lenti ingiallite, al suo antiriflesso maculato? Di certo l’economia nazionale non se la passa bene. Il bonus vista pare non aver lasciato tracce: troppo pochi i 50 euro, troppo basso l’Isee a 10 mila euro. L’effetto serra sull’ottica è che, se si vedono meno clienti, gli occhiali devono avere un valore maggiore. Comprensibile e umano, ma non è detto che il meccanismo possa durare a lungo con i venti dell’economia di oggi e di domani. Un imprenditore del settore mi ha raccontato un episodio illuminante. Il caffè alla macchina aziendale è stato portato da 45 a 55 centesimi in un sol colpo. Il personale si è guardato negli occhi, con una colletta ha comprato una macchinetta a cialde e ha deciso di non usare più quella abituale. Cosa penserà il padroncino della macchina del caffè quando andrà a ricaricarla e la troverà ancora piena di chicchi da macinare? Affermati economisti hanno dichiarato che finché l’industria e il retail aumentano il costo dei prodotti e il consumatore accetta e paga, non ci sono problemi. Questi nascono invece quando l’utente finale decide di non farlo più e il gioco si ferma. Poi riparte, ma non si sa quando.

Nicola Di Lernia

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