Un Regno poco… Unito: la lezione di Wembley e Wimbledon

Il sentimento nazionale che la squadra di Roberto Mancini ha saputo esaltare può rispecchiarsi anche nell’optometria italiana, ormai affrancatasi dal modello anglosassone

“Passo passo andavam sanza sermone, guardando e ascoltando li ammalati, che non potean levar le lor persone...”. È il pomeriggio di sabato 9 aprile del 1300 quando Dante e Virgilio incontrano nella IX Bolgia dell’VIII Cerchio, le Malebolgie, i seminatori di discordie, tra cui Geri del Bello, suo lontano parente.

Domenica scorsa a Londra in occasione della finale europea di calcio, prima e dopo l’incontro, abbiamo saputo di aggressioni, verbali e non, a italiani presenti a Wembley da parte della tifoseria britannica: qualcuno dovrebbe raccontare loro i rischi di tale fatta. Dopo la vittoria, sofferta e meritata, noi scopriamo ancora quanto lo sport veicoli ed esalti il sentimento nazionale che sembra, ormai da solo, legittimare quel patriottismo che sempre più va ritraendosi dalla politica e dal dibattito culturale, forse perché è l’ultima espressione dell’epica che pretende una sua retorica del linguaggio, si riconosce nella mistica dei gesti e non si consuma nell’oggi ma si dilata nella memoria dei gesti mirabili. Anche se poi, spesso, si immiserisce e s’imbratta nella categoria istintuale e selvaggia di alcuno, lo sport è aggregazione sociale, è capacità di lottare dentro norme riconosciute, distingue il lecito dall’illecito, riconosce un arbitrato terzo, impone la disciplina della forza, pescando nelle nostre ancestrali suggestioni e attrazioni per la violenza trasfigurandole in una moderna liturgia simbolica. Trasformando il tifoso dello spalto da semplice spettatore a co-celebrante di un rito collettivo che sacralizza il campo, quello si sente autorizzato a contraffare la sconfitta con la protesta sociale: ma il poverello ignora che l’altra lezione dello sport è l’accettazione della sconfitta, perché il gioco è tale solo se il risultato è ogni volta indeterminato e il tennista Matteo Berrettini, sconfitto poche ore prima nella finale di Wimbledon e poi presente in tribuna a Wembley con il Presidente Mattarella, lo ha saputo ricordare celebrando il rivale Novak Djokovic. Al contrario togliersi la medaglia appena ricevuta è un deprecabile segno di ottusità mentale.

La fiammata di passione italiana vissuta domenica scorsa è sembrata sostenere l’idea di nazione che la politica fatica a testimoniare, particolarmente in un Regno così Unito da presentarsi con tre team separati a Euro 2020. Con una simmetrica affinità potremmo leggere la capacità che l’optometria italiana ha saputo dimostrare, col tempo, di affrancarsi dal modello anglosassone e riconoscersi in una propria identità vincente: ma questa è un’altra storia (nella foto, una delle numerose celebrazioni della vittoria degli Azzurri agli ultimi Europei di calcio).

Sergio Cappa

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