Paolo Nucci (nella foto principale) nel suo profilo LinkedIn si firma più divulgatore che medico e negli ultimi anni sta dando prova del desiderio di “lasciare un segno”, non solo clinico ma anche letterario.
Il suo libro, edito da Piemme, parla di quanto sia bello essere e fare il medico per il ruolo sociale e l'importanza che riveste nei confronti di chi gli si affida. Reminiscenze del passato vissuto vicino a grandi maestri come Giovanni Rama, il fondatore della Banca degli Occhi del Veneto a Mestre, la più importante d'Europa. «I maestri sono importanti per la crescita del giovane medico», ha dichiarato giovedì scorso, durante la presentazione del volume alla libreria trevigiana. Allo stesso tempo, però, quel “non” tra parentesi è una interpunzione nata dall’esperienza vissuta tra barriere politiche e pressioni dei pazienti, in particolare nei pronto soccorso cittadini.
Cosa cerca di dire Nucci nel suo libro? Che c'è ancora speranza per quanti vogliono seguire i dettami di Ippocrate, ma allo stesso tempo occorrono correttivi urgenti affinché i giovani non si disamorino di questa nobile professione. E lancia una provocazione: per costruire un rapporto migliore con il pubblico si dovrebbe arrivare a registrare le azioni del medico come fanno negli Stati Uniti con i poliziotti sulle strade. La registrazione video, per lui, ha un valore terapeutico: tranquillizza il paziente e parimenti induce il professionista a una maggiore precisione nella cura e nel dialogo.
Quando parla Nucci devi prepararti sempre a qualcosa di intelligente ma divisivo, perché questa è la sua indole, la sua spinta a migliorarsi. Ascoltando le sue parole, apprezzate a Treviso da un folto pubblico composto prevalentemente da lettori comuni e colleghi illustri, ho avuto la certezza che nel nostro settore manchi un libro e una provocazione come quella: perché (non) fare l’ottico. Ci aiuterebbe a capire il motivo per cui non ci sono giovani a sufficienza che scelgono questo lavoro, per cui quanti lo abbracciano vorrebbero comunque il sabato libero oppure per cui, dopo il diploma o la laurea, molti si sentono già degli esperti fatti e finiti.
Certe domande, si sa, sono scomode, certe provocazioni sono opinabili. Ma a forza di girare la testa rischia di venirci un doloroso torcicollo.
Nicola Di Lernia