La forbice taglierà anche nell’ottica?

L’ultimo report dell’Istat fotografa in maniera crudele gli ultimi dodici mesi trascorsi dall’Italia pandemica. Da qui si devono cogliere i segnali che determineranno le traiettorie dei prossimi tre anni

È come se l’Istat avesse evidenziato una forbice aperta. L’economia italiana sta nel mezzo, tra due punte affilate. La prima è quella che “nonostante il massiccio sostegno delle misure anticrisi, il reddito delle famiglie italiane è diminuito del 2,8%”. La seconda è quella che “la spesa per i consumi finali si è contratta del 10,9% portando la propensione al risparmio al +15,8%”. Quasi il doppio del 2019. Hanno sempre identificato il nostro paese come una economia pubblica indebitata fino al collo e una privata ricchissima grazie alla cultura del risparmio. In questo momento però occorre non esagerare. Il raddoppio della tendenza al risparmio getta un’ombra sulla ripresa economica del 2022 e sul ritorno alla normalità. Se l’Istat parla del 2020 come della seconda più forte crisi dal 2012, dove si toccò il -5,2% di perdita del potere d’acquisto, negli ultimi cinque anni tale parametro si era stabilizzato sul segno positivo, mentre la propensione al risparmio si era assestata sull’8% (nelle tabelle, tratte da istat.it): un quinquennio in cui la nostra forbice era chiusa (potere d’acquisto in crescita e giusta vocazione al risparmio), ma l’industria e il commercio non hanno comunque navigato nell’oro. Sono stati anni tranquilli, dove pochi hanno vinto e pochissimi hanno perso. Ora, con la forbice del 2020 aperta tra un -2,6% e un +15,8%, si rischia di tagliare molto dell’economia precedente.
I redditi sfumati, sempre secondo l’Istat, causa la crisi dell’attività produttiva sono pari a 93 miliardi di euro, mentre nel lavoro autonomo sono 50 e nelle imprese familiari quasi 30. Numeri da capogiro. Quando si parla di impatto minimo dell’operazione ristori o sostegni si può ben capire il motivo. Una bottiglia d’acqua in una vasca senza tappo. Inoltre, come ha recentemente sentenziato Mario Draghi, il 2021 è l’anno in cui lo Stato dà e non chiede. Il 2022? Cosa ci potremo ancora permettere dopo un esborso che a oggi per le finanze pubbliche supera i 200 miliardi in attesa di un’ulteriore manovra da 40 miliardi?
Di fronte a questa fotografia da guerra economica, fortunatamente non ancora sociale, la traiettoria per il futuro non può essere certo quella del ritorno alla normalità del gennaio 2019. Certo, l’aiuto europeo del Recovery fund dovrà sostenere ulteriormente il riassetto e la ripresa del sistema Italia, ma gli investimenti dovranno seguire le tre assi condivise sul piano comunitario: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale, ovvero mantenere tutti allo stesso livello, se possibile. La traiettoria del nostro futuro inizierà appena avremo una solida copertura vaccinale e il treno dell’economia potrà ripartire con tutte le proprie carrozze. Nessuno però può scommettere sulla testa della gente. Se l’economia perderà alcuni dei suoi vagoni e si confermerà la contrazione dei consumi, tutto il commercio, ottica compresa, dovrà rivedere i propri piani per il prossimo triennio, progettando una sorta di Recovery plan individuale, che preveda le stesse assi di quello originale: conversione totale alla digitalizzazione e all’innovazione, attenzione ai temi etici e green, inclusione di tutti i potenziali clienti senza perderne uno per incapacità di spesa. Qui servono sangue freddo, visione e una buona dose di onestà intellettuale. Quanti ce l’avranno?

Nicola Di Lernia

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