L’occhiale... non fa il corridore

Il confronto tra le immagini delle prime edizioni del Giro d’Italia e quelle attuali mettono in luce le enormi differenze che un secolo di progresso, tra una pandemia e l’altra, ha portato. Anche nelle dotazioni e negli equipaggiamenti. Così il casco con visiera a specchio di Filippo Ganna, vincitore della prima tappa della Corsa Rosa, diventa metafora dei tempi attuali e dell’evoluzione che ha interessato pure il settore delle soluzioni visive: tra cui, però, sono le reali necessità a dover guidare la scelta

“È la gloria dell’abito questa signor conte, che un uomo il quale al secolo ha potuto far dir di sé, con questo indosso, diventi un altro. E da che il padre Cristoforo porta quest’abito… vorrei crederlo: lo dico col cuore ma alle volte come dice il proverbio…l’abito non fa il monaco”, così dice il Conte Zio al Padre Provinciale nel XIX capitolo de’ I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

L’organizzazione del primo Giro d’Italia in bicicletta se lo aggiudica La Gazzetta dello Sport sul Corriere della Sera e la mattina alle 3.00 di giovedì 13 maggio 1909 parte da piazzale Loreto a Milano la prima delle 12 tappe, con direzione Bologna, 397 chilometri: dopo 14 ore ininterrotte vince il romano Dario Beni. Nel secondo dopoguerra si radicalizza la divisione duale Coppi-Bartali, metafora sportiva della divisione militare della guerra fredda. Le foto dei tremolanti filmati delle prime edizioni poste a confronto con l’immagine di Filippo Ganna (nella foto, tratta da corriere.it), vincitore della cronometro di sabato 8 maggio, ci raccontano di un secolo di rutilante progresso tra la Corsa Rosa durante la prima pandemia, di Spagnola, e quella durante la seconda; dai copertoni incrociati sulle spalle al cambio ruota in pochi secondi, dalla bicicletta presa nel fienile al tubolare in carbonio, dalle strade di fango e sterrato all’asfalto levigato. Solo l’inenarrabile fatica è rimasta costante. Come nota di colore si noti la sofferenza dipinta sui visi rustici e disorientati di allora e il profilo appena visibile di Ganna sotto il casco aerodinamico con visiera a specchio incorporata. Anche quella soluzione visiva è la metafora del nostro tempo: da occhiale protesi per una vista debole ad accessorio integrato alla bisogna del nostro variegato quotidiano. Ma a indossare il tecnologico casco di Ganna per la passeggiata della domenica mattina si corre il rischio di confondere il corridore con il corridicolo.

Sergio Cappa

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