C’era una volta a Marghera

Sulle note di Yesterday, come nella seconda parte del capolavoro di Sergio Leone, si apre un palcoscenico tra passato e presente che mi riporta, trent’anni dopo, in questa città, attraverso un tunnel ferroviario

Marghera era il principale polo industriale d’Europa, la grande nebbia di ciminiere dove lavoravano quasi diecimila addetti per sfamare altrettante famiglie. Era però anche il sogno della città giardino, la città delle prime rotonde stradali. A Marghera si viveva, ci si sposava, si ampliava la famiglia. Si racconta che alle sei del mattino prima della sirena delle fabbriche non si riuscisse ad attraversare la strada a causa delle tante biciclette che sfrecciavano. A Marghera c’era la Galileo, già Ior-Industrie Ottiche Riunite. Quando mi sedetti per la prima e unica volta al tavolo sempre riservato al presidente della società, Francesco Caporossi, non avevo ancora compiuto trent’anni. Il tavolo era sempre lo stesso, aspettava solo lui, nessun altro. Il ristorante era il mitico Auto Espresso, una trattoria il cui nome presagiva cibo onesto in abbondanza. Invece con Caporossi tutto cambiò. L’osteria diventò il ristorante di lusso di pesce, il cavalcavia che lo sormontava un monumento futurista, le lenti da vista moneta moderna come oggi i bitcoin. Antonella Saccarola in una sua ricerca che ha portato nel 2010 a una rappresentazione teatrale sull’azienda oftalmica e Marghera racconta che “molti lavoratori Galileo andavano al lavoro cantando: all’alienazione della fabbrica era contrapposta la relazione fra operai; in molti nelle interviste hanno riferito che alla Galileo sono cresciuti, umanamente e politicamente”.
Marghera è morta nel 2000 con i copertoni in fiamme davanti all’ingresso della Galileo. L’incendio “economico” è partito da lì e si è espanso sino alle centrali della Montedison. Gli occupati del polo chimico passarono da diecimila ai poco meno dei mille attuali, le lenti Galileo, che negli anni Ottanta stampava oltre due milioni di certificati di garanzia, da Marghera non uscirono più. La leggenda racconta che negli anni d’oro l’azienda ingaggiasse finanzieri in pensione per controllare se gli ottici vendevano lenti Galileo originali con il certificato di garanzia. C’era solo la Galileo allora, almeno così sembrava. Oggi, come trent’anni fa, esco dallo stesso tunnel, quello di Marghera. La Galileo è stata conquistata dalla natura, il ristorante Auto Espresso è riconvertito a un b&b. La lunga strada che porta al centro dell’ex polo chimico è stata “pettinata” e si trascina fino a un vasto centro commerciale dove negli anni 90 è nato il primo grande sogno dello shopping. L’economia da industriale si è trasformata in commerciale saltando a piè pari quella dei servizi.
Qui però si percepisce ancora un filo, invisibile, che lega la memoria del passato a un futuro migliore. La famiglia si chiama De Rossi, un classico cognome veneto. Il papà, Mario, costruiva lenti in conto lavorazione per la Galileo in un piccolo laboratorio artigianale nella limitrofa Campalto. I due figli, Cristiano e Federico (nella foto, da sinistra), lo hanno seguito utilizzando tecnologie d’avanguardia, i nipoti studiano marketing. L’azienda omonima e i suoi laboratori di produzione oftalmica distano pochi chilometri dalla ex Galileo e pochi metri dall’ingresso principale della Montedison diventata un bene culturale. Il sogno dei De Rossi, che oggi servono principalmente le Tre Venezie e la bassa Emilia Romagna, è costruire un asse di distribuzione da Trieste a Torino e diventare un’impresa riconosciuta nel panorama nazionale. Certe ambizioni si pagano, anche in termini di sforzi: impianti di sterilizzazione pari a quelli ospedalieri, macchinari di ultima generazione, focus dei proprietari su tutte le fasi produttive e distributive. È l’Italia che va, come canterebbe ancora Ron, l’Italia che non si piega, che cresce un gradino alla volta e che sa farsi rispettare. Ci servono queste testimonianze, ora che sembra si possa riprogrammare qualcosa. Anche se i rovi e i bambù a poca distanza dalla sede ci ricordano che la storia è il salvagente della vita.

Nicola Di Lernia

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