La stampa americana sbeffeggia il made in Italy

È stata la passerella a rispondere ai faziosi attacchi di una giornalista straniera alla moda italiana. Infatti l’articolo dell’inviata dell’Herald Tribune che accusava le proposte degli stilisti italiani di essere “moda per veline, vestiti impertinenti, sfrontati e sexy per alimentare uno dei party del presidente Silvio Berlusconi” mal si concilia con abiti morbidi, eleganti e raffinati come lo sono stati quelli visti nella settimana della moda milanese. Evidentemente le sono rimaste negli occhi certe immagini provenienti da Villa Certosa…
Nell'articolo incriminato Susy Menkes denuncia un cambio di tendenze della moda italiana e attacca tutti i nostri stilisti, addirittura Giorgio Armani (nella foto un momento della sua sfilata per la primavera-estate 2010) è accusato di aver aggiunto capi chiassosi per divertirsi a party che le ragazze per bene non frequentano. Concise e precise le risposte che arrivano non solo dalle personalità del mondo fashion. «L’attacco politico – insorge Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente – della stampa americana ad Armani è veramente penoso. Anzi, doppiamente penoso perché aggredisce uno dei principali artefici del made in Italy nel mondo con argomentazioni che nulla hanno a che vedere con il suo lavoro». Rincara la dose il ministro per lo Sviluppo economico Claudio Scajola che, durante una visita negli Usa per promuovere la moda italiana ha commentato «le critiche di costume dell’Herald Tribune e del Financial Times non sono legittime ma sono un attacco a freddo al made in Italy che va respinto e rispedito al mittente». Anche il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana dà la sua lettura del fazioso pezzo «La realtà è che questa è una competizione tra fashion week - spiega Mario Boselli - quella di New York è andata male, Londra non ha brillato. Ciò scatena i peggiori sentimenti». Certamente non è piaciuto alla Menkes che Milano sia stata indicata come “capitale mondiale della Moda” anche da autorevoli fonti americane. Comunque la moda italiana guarda con sufficienza la polemica dall’alto dei numeri che disegnano uno scenario di 70 mila imprese, un saldo attivo della bilancia commerciale di 16 miliardi di euro e, soprattutto, 700 mila addetti. Un universo immenso visto dal piccolo orticello americano.
A.I. e A.M.

Fashion